Mafia, la Procura di Palermo ha concluso il procedimento sulla riorganizzazione di Cosa nostra nel Belice. Sono 36 gli indagati. Il campobellese Francesco Luppino accusato di essere la longa manus di Matteo Messina Denaro. Per i pm c’è anche una donna a far parte della cupola
In queste ore si è conclusa la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini legato all’operazione dei Carabinieri di Trapani denominata Hesperia. Si tratta del blitz che nel settembre scorso portò all’arresto di 35 persone legate al boss latitante Matteo Messina Denaro. Vecchi e nuovi personaggi di Cosa nostra trapanese. A notificare il provvedimento sono stati i Carabinieri del Comando provinciale di Trapani, artefici delle indagini che hanno visto come principale indagato il campobellese Francesco Luppino, accusato di essere il referente del boss per il comando dell’intera mafia trapanese. Cupola mafiosa della quale avrebbe fatto parte anche una donna. L’avviso di conclusione delle indagini oltre che a Luppino è stato notificato a Filippo Aiello, marsalese, 76 anni, Paolo Bonanno, mazarese, 48 anni, Marco Buffa, mazarese, 47 anni, Leonardo Gasano, di Marsala, 50 anni, Lorenzo Catarinicchia, marsalese, 41 anni, Antonino Cuttone, mazarese, 86 anni, Vito De Vita, marsalese, 45 anni, Riccardo Di Girolamo, mazarese, 44 anni, Piero Di Natale, di Castelvetrano, 41 anni, Vito Gaiazzo, mazarese,67 anni,Girolamo Li Causi, marsalese, 55 anni, Antonino Lombardo, marsalese, 69 anni, Jonathan Lucchese, palermitano, 29 anni, Nicolò e Bartolomeo Macaddino, mazaresi, 62 e 58 anni, Marco Manzo, di Campobello di Mazara, 57 anni, Antonino Nastasi, campobellese, 52 anni, Antonino pace, mazarese, 72 anni,Vincenzo Pisciotta, mazarese, 66 anni, Giuseppa Prinzivalli, marsalese, 48 anni, Francesco Pulizzi, marsalese, 69 anni, Stefano Putaggio, marsalese, 49 anni,Antonino Ernesto e Francesco Raia, marsalesi, 60 e 55 anni, Tiziana e Vito Rallo, marsalesi, 42 e 62 anni, Vincenzo Romano, mazarese, 77 anni, Carmelo e Giuseppe Salerno, di Paceco, 62 e 32 anni, Marcello Salvia, di Partinico, 43 anni, Giuseppe Speciale, di Partinico, 40 anni, Vincenzo Spezia, di Campobello di Mazara, 59 anni, Francesco e Rosario Stallone, campobellesi, 56 e 48 anni, Michele Vitale di Partinico, 30 anni.
A firmare l’avviso di conclusione delle indagini sono stati i pm della Procura distrettuale antimafia di Palermo, Pierangelo Padova, Francesca Dessì e Alessia Sinatra. L’associazione mafiosa è stata contestata anche a una donna, Tiziana Rallo nonché a Francesco Luppino, col ruolo di reggente della famiglia di Cosa nostra a Campobello di Mazara e poi ancora a Piero Di Natale, Vincenzo Spezia, Francesco e Antonino Raia, Antonino Cuttone, Antonino Pace, Vito Gaiazzo.
In generale gli altri reati contestati sono anche quelli di turbata libertà degli incanti, rapina, estorsione, traffico di droga, favoreggiamento, detenzione e possesso di armi, traffico e spaccio di droga, lesioni. Tutti reati aggravati dall’avere favorito l’associazione mafiosa.
Dei 36 indagati in custodia cautelare in carcere sono Francesco Luppino, Marco Buffa, Leonardo Casano, Antonino Cuttone, Vito De Vita, Piero Di Natale, Vito Gaiazzo, Jonathan Lucchese, Marco Manzo, Antonino Nastasi, Antonino Pace, Vincenzo Pisciotta, Francesco Pulizzi, Antonino e Francesco Raia, Vito Vincenzo Rallo, Carmelo e Giuseppe Salerno, Giuseppe Speciale, Vincenzo Spezia, Rosario Stallone e Michele Vitale. Ai domiciliari invece Paolo Bonanno, Lorenzo Catarinicchia, Riccardo Di Girolamo, Antonino Lombardo, Giuseppa Prinzivalli, Stefano Putaggio, Tiziana Rallo, Vincenzo Romano, Marcello Salvia e Francesco Stallone.
Tutti con ruoli diversi a disposizione di “Ignazieddu”, il più recente degli “alias” del super latitante di Cosa nostra Matteo Messina Denaro, 60 anni, trenta dei quali trascorsi da super ricercato. “Ignazieddu” lo appellava così il suo luogotenente, il campobellese Francesco Luppino, “lo zio Franco” o detto anche “Gianvito” dai suoi sodali mafiosi. Franco Luppino moltissimi anni addietro fu arrestato per omicidio, ma grazie ad una legge svuota carceri, negli anni ’90 tornò libero, il delitto era di mafia, ma al momento della condanna non gli fu contestata l’aggravante, e così tornò libero nella sua Campobello di Mazara, omaggiato nelle più importanti occasioni, e ad ogni processione religiosa puntualmente il corteo si fermava davanti casa sua. Fu arrestato nei primi anni del 2000 , scontò la condanna ma a settembre scorso è tornato in cella, ma stavolta l’imputazione è più pesante, lui per i magistrati antimafia è il capo mafioso della provincia, su delega del latitante. “Per adesso il perno di tutto è lui” , così di Luppino sono stati sentiti parlare due mazaresi, uno dei quali imparentato con la famiglia di un importante mafioso oramai deceduto, Mariano Agate. Uno “potente” lo “zio Franco”, “il numero uno della provincia di Trapani”, commentavano un paio di mafiosi palermitani. Nel corso delle indagini i Carabinieri sono riusciti a ricostruire la rete di rapporti anche al di là della provincia di Trapani, con Cosa nostra palermitana, agrigentina e catanese. Una mafia, quella trapanese, in grado di controllare il tessuto economico – sociale della provincia, condizionare la libertà degli incanti, gestire anche la security dei pubblici locali, occuparsi di recupero crediti. Interessi mafiosi sono stati scoperti anche nell’ambito di alcune aste giudiziarie, una rete per controllare acquisiti di immobili, terreni, alberghi in pregiate località turistiche come Tre Fontane, Mazara, Selinunte ed Erice. Tutte operazioni possibili “con il benestare di Castelvetrano” dicevano gli intercettati finiti sotto inchiesta, e che per questo si rivolgevano apposta allo “zio Franco”. Tra gli affari monopolizzati anche quelli legati al ricco mercato oleario di Campobello di Mazara. A fare il prezzo sempre lui, Francesco Luppino, e a chi gli obiettava che il prezzo non era rispondente alle offerta sul mercato, lui minaccioso rispondeva “qui marcato non ce ne è”. L’indagine Hesperia, risultato di un certosino lavoro investigativo dei Carabinieri del Reparto Operativo Provinciale di Trapani, ha messo in luce come Cosa nostra trapanese è tutt’altro che allo sbando e che in questi anni ha avuto la capacità di risorgere come “l’araba fenice”, sempre agli ordini del latitante Matteo Messina Denaro e con capi mafia collaudati come Franco Luppino, capace di attirare anche nuovi sodali. E poi sullo scenario la solita area grigia, per pilotare le aste giudiziarie certamente i mafiosi hanno avuto bisogno di professionisti, quelli che per adesso sono rimasti nell’ombra. E l’inchiesta fa palesare come gli ultimi tra i più vicini favoreggiatori della latitanza di Matteo Messina Denaro, possano essere personaggi incensurati in giacca e cravatta.