Poche ore di camera di consiglio hanno deciso la sorte giudiziaria di Maria Angioni, l’ex pm che indagò sulla scomparsa della piccola Denise Pipitone, condannata oggi a un anno di carcere per false informazioni al pubblico ministero. Una sentenza che accoglie la tesi della Procura di Marsala che contestava all’ex collega di aver fabbricato un castello di menzogne sul rapimento della bambina e di aver infangato con dolo l’operato della polizia, accusata dall’imputata di depistaggio. Con dolo, malafede, calunniando il commissariato di Mazara del Vallo, Maria Angioni, “ha mostrato assoluto spregio della giustizia”, ha detto il pm Roberto Piscitello durante la requisitoria. Un duro atto di accusa contro l’ex collega che aveva denunciato inquinamenti dell’inchiesta su Denise che avrebbero lasciato impuniti i responsabili del rapimento di Denise. Rivelazioni fatte in diretta tv per mesi, ritenute “farneticanti” dal pm che ha parlato di “frottole”, ha definito Angioni una “star televisiva” e ha smentito, sulla base degli accertamenti fatti, le ricostruzioni della collega. “Angioni ha sempre agito con fare sicuro; – ha detto il magistrato durante la requisitoria- le sue affermazioni, spesso rafforzate dal sarcasmo di chi dice solo verità sono state pronunziate in maniera scientificamente calcolata e lucida, con il preciso obiettivo di accreditare la sua visione volutamente denigratoria dell’organo di Polizia preso di mira. Dichiarazioni necessarie – dal suo punto di vista – per giungere alla conclusione che proprio quella infedeltà portò all’insuccesso delle indagini”. “Va da sé, allora, come questo atteggiamento psicologico, se da un lato è finalizzato ad allontanare sospetti di incapacità professionale; dall’altro evidenzia che dileggiare il commissariato di Mazara del Vallo fosse diventata per lei una conseguente necessità rispetto alla quale, anche dal punto di vista mediatico, finì per esporsi a feroci critiche”, ha aggiunto il pm. Sono tre le dichiarazioni fatte da Angioni giudicate false. La prima riguarda la disattivazione di una telecamera che, a dire dell’imputata, avrebbe potuto portare elementi utili alle indagini sulla scomparsa della bambina e che sarebbe stata decisa dalla polizia a sua insaputa. Gli inquirenti hanno scoperto che in realtà la telecamera era stata attivata, per la prima volta, su espressa richiesta della polizia e che sarebbe stata disattivata su decisione della Procura, ufficio dell’Angioni, nel 2005. La seconda è relativa all’accusa di fughe di notizie lanciata dall’ex pm che ha raccontato che avrebbe deciso di sottrarre l’ascolto delle intercettazioni agli agenti del commissariato di Mazara perché non si fidava di loro avendo scoperto che alcuni indagati erano informati degli sviluppi dell’inchiesta. Dalle indagini è venuto fuori invece che proprio la Angioni restituì alla polizia l’incarico di ascoltare le intercettazioni, condotta poco coerente, secondo l’accusa, con la scoperta di fughe di notizie. Infine le dichiarazioni sull’ex dirigente del commissariato di Marsala Antonio Sfameni che, a dire dell’imputata, sarebbe stato indagato per “anomalie” nell’inchiesta su Denise: circostanza, anche questa, smentita.
“Condivido l’irritazione del pm, ma in questo processo bisogna separare la fase delle dichiarazioni televisive da quelle rese all’autorità giudiziaria. Quando la Angioni, da indagata, venne ascoltata in procura, disse: ‘se gli atti dicono cose diverse dalle mie, valgono gli atti’”. Lo ha detto l’avvocato Andrea Pellegrino, legale della ex pm Maria Angioni, imputata di false dichiarazioni a pm, nel corso della sua arringa difensiva. L’avvocato, intervenuto dopo la requisitoria del pm che ha chiesto la condanna a due anni dell’ex magistrata, sostiene che la sua cliente, parlando di depistaggi delle indagini sulla scomparsa della piccola Denise Pipitone, depistaggi poi smentiti dagli accertamenti, agì senza dolo. “Sono convinto che va scusato come l’errore grossolano anche il cattivo ricordo, altrimenti in ogni processo verrebbero contestate tante false testimonianze, reato per cui fino alla riforma del 1989 si prevedeva l’arresto in aula. La Angioni non aveva gli atti del procedimento Denise non aveva gli atti e non poteva consultarli. È stata una negligenza non chiederli. Ma il dato oggettivo è che non li ha consultati”, ha sostenuto il co-difensore Stefano Pellegrino. Il legale ha anche affermato che la sua cliente avrebbe ritrattato le dichiarazioni rese.
Il pm ha ricordato la genesi dell’inchiesta che ha portato all’incriminazione di Angioni. Furono le rivelazioni della donna, che aveva indagato per prima sul sequestro di Denise, a far riaprire il caso. Il 10 aprile 2021, a 17 anni dai fatti, la Procura di Marsala ricevette una mail dalla Angioni. La donna annunciava di avere ricevuto le confessioni di una testimone che, nel giorno del sequestro di Denise, aveva visto Giuseppe Della Chiave su uno scooter con la compagna e la bambina. La piccola, sempre a dire della teste, sarebbe finita in un magazzino di Mazara. Rivelazioni esplosive che indussero i pm “vista la fonte qualificata da cui proveniva: un magistrato che era stato titolare del fascicolo”, dice Piscitello, a riaprire l’indagine.
Fonte livesicilia.it