I racconti d’Agosto di Nicola Quagliata
Era così con Pirandello, i personaggi gli si presentavano dietro la porta, come materia prima, grezza, e bussando chiedevano, con umiltà, raccoglimento e determinazione, di essere presi,rielaborati a suo piacimento, ed inseriti nei suoi racconti, nelle sue storie, nelle sue novelle, a suo piacimento. Consegnavano la loro vita vissuta all’autore per essere sussunti nelle sue storie letterarie.
Loro si offrivano, pronti a rinunciare a quella parte di sé che l’autore avesse ritenuto non adatta per la storia che imbastiva, o superflua.
Aspettavano pazienti, come nell’anticamera del medico per una visita che avrebbe loro ridato la salute compromessa da qualche malanno. Infondo la rinuncia a una parte di sé, secondo la rielaborazione dello scrittore, veniva da loro considerata un investimento per una nuova vita, ma in narrativa. Il posto in un racconto come in un loculo di vita eterna.
Pirandello era un autore noto, autorevole, universalmente riconosciuto in quanto autore di tante vite con caratteri, passioni, desideri: amori pochi e rancori molti.
Riconosciuto in vita creatore di tante novelle, era sommerso di proposte, di richiami, di soggetti da sviluppare, rigo dopo rigo, pagina dopo pagina, e da richiamare alla vita letteraria per il suo pubblico fatto di attenti, sottili lettori.
Come autore era ricercato al punto che doveva anche scartare, con strazio del proprio animo, vite e personaggi che non si confacevano al suo genio, fino ai sei personaggi in cerca di autore, ed anche oltre.
File di vite vissute aspettavano dietro la porta del suo ufficio privato, come nella sala d’attesa di un famoso oculista, che lui solo avrebbe ridato la vista, o di una ostetrica, che li aiutasse a partorire nuova vita.
Non dico che fosse facile il suo lavoro, anzi la sua opera, perché di un grande artista non si usa parlare di lavoro ma di opera, infatti noi diciamo l’opera di Raffaello, l’opera di Michelangelo, l’opera di Leonardo e non il lavoro di Raffaello, il lavoro di Michelangelo, il lavoro di Leonardo, ma lui conferiva leggerezza alle pesantezze dell’animo umano, la sua prosa ammorbidiva ogni asperità psichica, districava ansie, paure e dubbi. Direi che in Pirandello la prosa era la medicina per la cura dei suoi personaggi, anche dei più travagliati, compresi quelli abbandonati da dio. Lui li offriva ad un sorriso. Quello che in altri scrittori di sua pari grandezza, intrigate passioni amorose, potere, fama e ricchezza, portavano inevitabilmente alla tragedia, con spargimenti di sangue o avvelenamenti, in Pirandello scivolavano tra i denti di un sorriso.
A differenza di Pirandello, agli scrittori minori i personaggi sfuggono, si nascondono, fino a rendersi introvabili.
Nell’epoca contemporanea, la spettacolarizzazione delle vicende umane, attraverso il mezzo televisivo, prende il posto della narrazione, della narrativa. Soggetti e vite, trattati con telecamere e video, e obiettivi, con interviste in diretta televisiva ad assassini mentre squartano la loro vittima, e con rivelazioni crudeli, trasmessi a milioni di spettatori inermi, assuefatti e bisognosi delle disgrazie altrui, nelle ore di punta, dopo cena, in programmi notturni del terrore, e nel dormiveglia si sostituiscono agli incubi del sonno.
Lo scrittore minore deve andare alla ricerca dei suoi personaggi e quando trova ripugnanti quelli riscontrati nella vita quotidiana, buoni per il mezzo televisivo che li ha plasmati, o banali o insipienti, allora li va a cercare anche in luoghi reconditi del passato, come succede al mio amico Antonio, scrittore dilettante nei ritagli di tempo libero dal lavoro e dalle preoccupazioni sulla salute della mamma che vive con lui.
Il sabato, la mattinata del sabato, Antonio si stacca dalla mamma per dedicarsi al suo hobby innocente, la scrittura, recandosi presso l’Archivio di Stato, nel centro storico, in Largo Abate Conforti sopra il Duomo, alla ricerca di personaggi.
Non è nei corridoi dell’Archivio che Antonio cerca i suoi personaggi, ma nei faldoni, conservati da secoli e mai aperti da alcuno, ricchi di fatti, vicende e reati penali.
Qui però Antonio incappa in personaggi davvero singolari, di grande attualità sebbene vissuti in tempi passati, uno di questi è certamente Luigi Riccio, che non esito a definire il primo pentito nella storia della criminalità organizzata, vissuto nella provincia Citeriore, Distretto di Vallo della Lucania, Circondario di Gioi, nella prima metà dell’ottocento. Non devo aggiungere altro, lascio parlare gli atti del tribunale reperiti da Antonio.
Devo chiarire che l’attività di scrittura di Antonio si è intensificata nel periodo di lockdown, ovvero di confinamento nelle case a causa della pandemia dovuta al covid. Antonio fu messo dal datore di lavoro in smart working e la sua attività era molto più produttiva, e lui molto più rilassato non dovendo ogni mattina salire sul pulman della SITA per recarsi a Napoli e riprenderlo la sera per il ritorno. Per Antonio la pandemia, completa di lockdown e smart working, si rivelò come una benedizione. Finita la pandemia il datore di lavoro, un grande ente pubblico che evito di nominare, lo rivolle in ufficio, al quindicesimo piano di un grattacielo del centro direzionale di Napoli.
Antonio rimase deluso di questo provvedimento ed ebbe quasi un esaurimento nervoso, non volle più saperne della scrittura consegnandomi le sue carte con tutto quanto aveva scritto.
– Fanne quello che vuoi, quello che ritieni opportuno, buttali nella spazzatura con la carta se non vuoi perderci tempo, io coi nuovi pensieri di lavoro a Napoli non ho più il tempo di pensarci. I dirigenti mi caricano di lavoro e mi passano pure quello che dovrebbero fare loro, e quel che mi fa più rabbia è che se ne vanno in vacanza, e lasciano a me la fatica.
Io che sono un buon lettore, avvezzo a leggere di tutto, non resisto davanti a quelle carte lasciatemi da Antonio ed inizio a leggere a come capita quelle che mi vengono per prime tra le mani.
Ed ecco.
Provincia Citeriore
Distretto di Vallo
Circondario di Gioi 26-24-48
Fatto
L’anno 1848 il giorno 20 di Ottobre,in Vallo.
Avanti di noi Giovanni Pinto Giudice Istruttore del Distretto di Vallo, assistiti dal Cancelliere sostituto Sig. De Laurentiys, previa che è comparso Luigi Riccio, del fu Francesco, d’anni 40, proprietario, nato e domiciliato nel villaggio di Cardile, il quale avvertito dell’obbligo che ha di parlare senza timore e dir il vero, è stato interrogato nel seguente modo.
Nel giorno 20 Agosto scorso anno 1848 Di Luigi Riccio di Cardile fece arrivare a questo signore Sottintendente fogli
Domanda: “Avete voi sotto il di 20 del passato Agosto consegnato a questo signor Sotto Intendente, o fatto pervenire vostro foglio di lumi relativo ad una Società Segreta sotto la denominazione di Fratellanza?
Risposta:Non nego di avere un tale foglio presentato a questo signor Sotto Intendente, il quale volle che avesse posto in iscritto varie circostanze che io gli avea dette intorno a tale setta, ed io mi determinavo fare tale rivelazione. Dappoichè sul principio questa setta nutriva sentimenti umani e proponeva dei fini retti, ma poi vidi che negli effetti non era così. Dappoichè il signor Catone Riccio mio cognato che faceva parte della setta detta Fratellanza di Cardile tentò di uccidermi nel dì 29 Giugno ultimo, e mi scagliò un colpo di stile, ma non mi colpì, perché ne fu trattenuto il braccio da Giovanni Di Senzio, per questo fatto ne proporrò querela.
Domanda: quali cose proponeasi in generale la setta di cui si parla?
Risposta: I principi che si proponevano nella setta erano l’amore scambievole; la scambievole promessa di soccorrersi, ed aiutarsi in quanto alla vita, all’onore, ed alle sostanze; né si proponeva giammai di offendere la vita, e le sostanze altrui quantunque poi, come di sopra ho detto, negli effetti non era così, poiché questi “settari”, o la maggior parte di essi, sono stati alla testa delli vari devastazioni che hanno avuto luogo nelle nostre contrade: Io per tutela della mia vita, e della mia proprietà anche feci parte di questa setta in Cardile, ma vedendo che il nominato Riccio invece di eseguire i dettami della fratellanza, tentò ucidermi, così non volli più appartenervi, tanto più che lo stesso commise delle devastazioni nel giardino di suo zio D. Cesare Riccio.
Domanda:Avendo voi detto di fare parte di tale Setta in Cardile, potreste descrivere il modo di riunione, dire se i componenti erano ligati da giuramento, quali erano gli oggetti che si discutevano nelle riunioni, da quanto tempo, e chi la installò in Cardile?
Risposta: quando doveva essere ricevuto un nuovo fratello si faceva ciò alla presenza dei fratelli già esistenti: veniva egli bendato, e ligato con funi, gli si facevano delle sevizie per incutergli timore e vedere se era resistente; quindi gli si dimandava il parere se conveniva commettere il tale, o tal altro reato, se egli annuiva non veniva ricevuto, se rispondeva negativamente, era segno che veniva accettato, gli si toglieva la benda, e si trovava in mezzo di molte armi contro di lui impugnate, allora il Presidente gli diceva, queste armi saranno per voi per difendervi, saranno contro di voi se svelerete il segreto che dovete mantenere col giuramento: questo giuramento consisteva nell’incidere la polpa dell’indice della mano dritta, farne uscire delle gocce di sangue col quale su di una carta si scriveva il nome del fratello ricevuto, in questa carta era scritta la parola del giuramento che veniva letta dal Presidente, la formola consisteva che il fratello doveva osservare i dettami della setta e serbare il silenzio ed il segreto, altrimenti sarebbe stato egli bruciato come si bruciava quella carta, quindi la carta col fiato si bruciava. Due volte io sono intervenuto nelle adunanze che si tenevano, la prima passò colla mia ricezione, e la seconda si trattò di farsi una tassa per avere del denaro pronto ai bisogni dei fratelli, o di altra persona, ognuno pose ciò che poteva, io sborsai cardine dieci e grana quattro, si raccolse la somma di dieci o dodici ducati che poi furono portati dal sunnominato Riccio quando partì per unirsi alla colonna dei Centauri nei principi di Luglio; non saprei dirvi negli altri riunioni che cosa si fosse trattato. Per quanto ricordo questa setta si introdusse in Cardile nel mese di Aprile da sunnominato Catone Riccio.
Domanda:Avendo voi detto di essere stato uno dè componenti della setta in Cardile, potreste dire quali erano i componenti?
Risposta: I componenti della setta di Cardile sono stati da me indicati nell’enunciato esposto da me scritto al detto Intendente, oltre quelli non ricordo altri.
Domanda: potreste indicarmi dette persone per stabilire come effettivamente in Cardile esiste la setta di cui avete fatto parola?
Risposta: Possono sentirsi sull’oggetto Cesare Ricci, Giuseppe Lettieri, Giovanni Ricci di Antonio, ed altri che io non saprei indicare.
Domanda: Col vostro esposto avete detto che non solo in Cardile, in Albanella ma anche in Gioi, in Sala di Gioi, in Stio, in Monteforte, in Roccadaspide, in Moio, in Pellare, esisteva la medesima setta, ed avete indicato vari individui i quali in detti paesi a tale setta appartenevano, desidero conoscere da quali elementi voi avete tratto queste notizie?
Risposta: Quanto ho detto intorno ai paesi su indicati m’è stato riferito dai Fratelli di Cardile, e principalmente da Catone Riccio, il quale più sincerava di queste cose, anzi ricordo che nello stesso Giugno il Riccio m’invitò se volessi seguirlo in Albanella ed in Roccadaspide per istituire colà questa setta che ivi non era compiuta; io con belle maniere mi scusai, ma Catone Riccio vi andò in compagnia di altri individui che io non ricordo ma potranno essere indicati dal nominato cesare Riccio.
Domanda:Questa setta aveva dei segni perché i fratelli potessero riconoscersi?
Risposta:Si erano questi segni, ma io poco vi ponevo attenzione, perché, come ho detto, due volte fui in quelle riunioni, ricordo che uno dei segni era il distendersi il dito indice quando si porgeva la mano destra al cappello.
Precedente lettura, spiega e notifica, la sottoscritta
Luigi Riccio Pinto
Carlo De Laurentiys