Le voci che arrivano dalle viscere della provincia di Palermo, grazie alle intercettazioni, raccontano che la storia di Cosa nostra è ormai tornata indietro nel tempo. Alla fine degli anni Settanta, quando c’era uno stretto contatto fra la Sicilia e New York. L’ultima indagine della squadra mobile e del servizio centrale operativo, coordinata dalla procura di Palermo, ha svelato un nuovo asse di relazioni e affari. In continuità col passato. Sono sei i fermi eseguiti a Palermo. In contemporanea, l’Fbi ha arrestato 10 persone a New York, ritenute responsabili di una serie di estorsioni ad attività economiche nel settore della ristorazione. Al centro dell’indagine c’è Francesco Rappa, 81 anni compiuti il 2 settembre: nel 1971 era stato arrestato a New York dopo il ritrovamento di 82 chili di eroina nascosti dentro una Cadillac imbarcata a Genova, negli anni Novanta e nel 2004 era stato, invece, arrestato per associazione mafiosa in Italia, perché ritenuto reggente della famiglia di Borgetto, centro della provincia di Palermo. Nei mesi scorsi, dopo l’ultima scarcerazione, la Squadra mobile diretta da Marco Basile e la “Sisco” del servizio centrale operativo guidato da Vincenzo Nicolì hanno sorpreso Rappa in frequenti contatti con esponenti del clan Gambino di New York. Il vecchio boss dispensava consigli e strategie per una più proficua gestione del racket delle estorsioni nella Grande Mela. Ai cugini d’oltreoceano, che ormai si avvalgono delle gang sudamericane per i lavori “sporchi”, consigliava di agire con metodi meno violenti e di far pagare meno. Un ritorno alla mafia che cerca la mediazione piuttosto che la violenza. I boss cercano soprattutto il consenso, proponendosi come agenzia di servizi, dal recupero crediti alla protezione dalla microcriminalità. Frank Rappa è davvero un pezzo di storia della mafia: su di lui aveva indagato il capo della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano pochi mesi prima di essere ucciso, nel 1979, quando stava delineando una mappa dei contatti fra la mafia americana e quella siciliana, attorno al business della droga. “Siamo di fronte a una vastissima organizzazione che opera in campo internazionale – scriveva l’investigatore nel rapporto del 7 maggio 1979 – adottando cospicui mezzi, avvalendosi delle tecniche più avanzate e usufruendo di complicità e connivenze”. Oggi su Rappa indaga lo Sco, un’articolazione della Direzione centrale anticrimine della polizia di Stato, che è diretta dal figlio di Boris Giuliano, Alessandro, poliziotto di grande esperienza, come il nuovo questore di Palermo, Vito Calvino, che si è insediato il primo ottobre. Il provvedimento di fermo scattato stamattina porta la firma del procuratore capo Maurizio de Lucia, della procuratrice aggiunta Marzia Sabella e del sostituto Giovanni Antoci, il magistrato che da anni indaga sui nuovi vecchi contatti della mafia siciliana con quella americana. Nel luglio 2019, la squadra mobile, lo Sco e la procura hanno fermato la riorganizzazione del clan Inzerillo a Palermo, alcuni mesi fa sono state emesse pesanti condanne dal tribunale. I protagonisti della nuova stagione criminale sono gli “scappati” di un tempo, quelli che il vecchio tiranno della mafia siciliana Salvatore Rina aveva mandato in esilio, negli States, all’inizio degli anni Ottanta. All’epoca, i boss italo americani a Palermo erano ritenuti infedeli al nuovo corso: gli Inzerillo, i Bontate, i Gambino erano i nemici dei Corleonesi. I capi furono sterminati, altri furono cacciati dalla Sicilia. E sono rimasti lontani fino al 2017, quando la morte di Riina ha segnato il ritorno al passato. Tanti boss italo americani hanno fatto così rientro a Palermo: nel 2018, il nuovo reggente della Cupola, Settimo Mineo, avrebbe voluto coinvolgerli pure nella ricostituita commissione provinciale di Cosa nostra, Francesco Inzerillo rifiutò, mandando comunque un suo rappresentante. I padrini della vecchia mafia preferiscono un profilo basso, legato soprattutto agli affari. Nella vecchia indagine, gli investigatori avevano intercettato i boss mentre parlavano di carte di credito americane consegnate ai cugini siciliani. Per quali affari? Per quali investimenti?
Resta il giallo dei tesori mai sequestrati agli “scappati” di un tempo, che oggi costituiscono la forza della loro riorganizzazione.