Facciamo memoria, ma non guardiamo a quella stagione delle regole che ancora tarda ad arrivare

Siamo alle solite. Celebriamo la memoria ricordando i “partigiani” di questa nostra Sicilia che con la parola e la penna hanno cercato di difendere la Democrazia e la Libertà ma sono caduti sotto il piombo mafioso, ma ogni giorno di più decidiamo di non riconoscere che in questa terra siciliana non è mai esistita quella stagione delle regole, invocata da Piersanti Mattarella o da Pippo Fava, politico il primo, era presidente della Regione quando fu ucciso il 6 gennaio del 1980 a Palermo, giornalista il secondo, ammazzato a Catania il 5 gennaio 1984, e che aveva visto giusto sulla coesistenza di mafia e corruzione. Se la memoria non trova conseguenza negli atti quotidiani, forse è bene che non la si celebri. Sono morti, Mattarella, Fava, come tanti altri, per noi, ma in Sicilia accade che i pregiudicati usciti dalle patrie galere vengono rimessi sugli altari della politica. O accade che certa stampa dinanzi a episodi corruttivi, a indagini giudiziarie, si gira dall’altra parte, non dicendo nulla, se non passare le classiche venti righe in cronaca, o ancora sfida chi indaga, dicendo a chi legge o ascolta, che certe indagini sono carta straccia. Per certuni la cattura, e poi la morte, del boss Matteo Messina Denaro, ha segnato la scomparsa di Cosa nostra, quando invece non si ragiona sul fatto che la mafia esiste da più di due secoli, e che è sempre sopravvissuta alla scomparsa dei suoi capi. In terra di Sicilia il potere politico è stato sempre nelle mani di un gruppo volitivo, capace di muovere una società che di civile ha sempre avuto poco. Anche oggi, dove l’impegno di alcuni sul fronte del contrasto alle mafie, nella ricerca della verità, continua ad essere indicato come un escamotage per fare carriere e conquistare chissà che cosa. Alla verità ancora oggi c’è chi qui in Sicilia sceglie la strada che porta alla corruzione, la stessa strada dove, se dovesse servire, potrebbe tornare a scorrere la violenza mafiosa. L’appello per il quale Pippo Fava fu ucciso 39 anni addietro, resta calpestato dal disinteresse sociale, non è facile trovare costante attenzione alla giustizia, quasi scomparsi i politici del buon governo.

Il lavoro di Piersanti Mattarella che da Presidente del Governo regionale voleva cacciare fuori dal Palazzo della Regione certi mercanti, è finito in archivio, i mercanti invece dai palazzi istituzionali non sono mai usciti. E’ stata la mafia ad ucciderli, ma come successo per tanti altri delitti se si guarda bene, e si ha voglia davvero di farlo, si scopre che Cosa nostra non è stata mai da sola, che ha operato avendo dalla sua parte connivenze e complicità precise. Apriamo gli occhi e prendiamo coscienza del fatto che i morti ammazzati possono tornare ad esserci se restiamo incapaci nel trovare le verità. Lo diceva Pippo Fava, i morti si potevano evitare se la pubblica verità avesse ricacciato indietro i criminali. Se non siamo capaci di lavorare per le verità, inutile saranno le giornate dedicate agli anniversari dei nostri “partigiani” morti ammazzati. Meglio fare a meno di queste liturgie della memoria. Torni la politica fatta per servire, e non per essere serviti, e torni il giornalismo, quell’informazione che è stata per decenni, con firme autorevoli ma mai autoritarie, la spina nel fianco dei mafiosi. Cosa nostra esiste, e resta radicata in questa terra, diciamolo chiaramente ogni giorno, perché la caduta di tensione che registriamo non diventi terreno fertile per coltivare e far nascere nuovi mafiosi. Resistere per esistere nel nome della Libertà. Quella sancita da una Costituzione che qualcuno oggi vuole mettere a tacere, applicando le leggi del bavaglio.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.