Il materiale scrittorio: “la pergamena “, la carta, il digitale

I racconti di Nicola Quagliata

L’evoluzione del materiale scrittorio lo considero in tre fasi, 1) della scrittura su pergamena; 2) della scrittura su carta; 3) della scrittura digitale contemporanea. La scrittura su papiro è contemporanea a quella su pergamena ma non ne avrà la stessa diffusione e durata nel tempo.

Attualmente viviamo il passaggio dalla scrittura su carta a quella digitale, dalla conservazione dei testi sui libri cartacei presso biblioteche e per i testi più rari in casse forti per proteggerli dagli insetti della carta e da muffe.

Con la digitalizzazione dei libri e della scrittura cambiano le tematiche della conservazione.

Proviamo ad immaginare e descriverci il passaggio dall’uso della pergamena come materiale scrittorio all’uso della carta, ciò che è avvenuto nel XIII secolo,  e proviamo a immaginare di tenere in una mano un libro di pergamena, con la sua consistenza di peso, odore e colore, e nell’altra mano un libro di carta, snello e compatto, delicato, dai fogli fragili, pronti a stracciarsi e sensibili all’umidità, bisognosi di attenzioni; con la carta monouso a differenza della pergamena che poteva essere riutilizzata grattando via con la pomice la vecchia scrittura.

La pergamena, in uso dal terzo secolo a.C., si ottiene dalla pelle di agnello, di capra, di vitello, con metodi di lavorazione sviluppatisi a Pergamo, antica città dell’Asia minore, da cui prende il nome. La pelle, raschiata e liberata dal pelo, tesa e tagliata, dopo il lavaggio viene resa morbida mediante immersione in una soluzione di acqua e calce e sbiancata con ammoniaca e acqua ossigenata, quindi fatta essiccare. Per il complesso lavoro richiesto e per i materiali usati il suo costo era già altissimo senza che ancora vi fosse apposta la scrittura, la miniatura e la rilegatura dei fogli.

Quando, già in epoca di Federico II si faceva molto uso della cartasia negli atti ufficiali che in quelli privati l’imperatore prescrisse che tutti gli atti pubblici fossero scritti in pergamena e che quelli scritti su carta non avessero più prova in giudizio. Il divieto apposto da Federico derivava dal sospetto sulla poca durevolezza della carta come materiale scrittorio. Nonostante il divieto dell’imperatore la carta si diffondeva in modo spontaneo in tutte le attività di cancelleria, nelle lettere ed in tutti i documenti non ufficiali: l’uso della carta per la sua praticità e facilità d’uso e per il suo basso costo dilagava rispetto alla pergamena.

L’imperatore è preoccupato per la leggibilità e la conservazione dei documenti e fa affidamento alla pergamena come esclusivo materiale scrittorio per le pubbliche scritture: … sancimus… instrumenta pubblica et aliae similes cautiones, nonnisi in pergamenis in posterum conscribantur. … destructionis periculo non succumbat.

Un’altra delle cause che ritardarono la diffusione della carta nell’occidente cristiano era la diffidenza e la repulsione verso i prodotti provenienti dai paesi “pagani” e da quelli fabbricati dagli ebrei.

Ma l’imperatore Federico II con la sua corte a Palermo nel favorire lo sviluppo della cultura e degli scambi culturali col mondo arabo dà impulso agli stessi scambi commerciali facendo del mediterraneo l’incontro con i mercati orientali intensificando gli scambi di manufatti. La carta lentamente si impone come mezzo scrittorio grazie ai bassi costi ed a tante attività di produzione della carta stessa che si vanno sviluppando in Italia.

I produttori italiani di carta innovano i processi produttivi arrivati dal mondo arabo migliorandone la qualità.

La scrittura, e la miniatura, che potevano richiedere anche anni, per il lavoro aggiunto degli emanuensi, copisti e miniatori,  faceva lievitare sensibilmente il costo del libro in pergamena rendendolo inaccessibile e tale che solo i ricchi potevano permettersi di tenerne uno in casa; l’esistenza delle biblioteche si poteva avere solo  nei monasteri, dove venivano raccolti e custoditi i testi sacri, e sfuggendo alla censura interna ai monasteri ed ai controlli – il romanzo di Umberto Eco “Il nome della rosa” è impiantato e costruito dall’autore su un misterioso testo antico di filosofia, di cui non si vuole la divulgazione, e si è pronti ad uccidere pur di nasconderne l’esistenza- non esistevano biblioteche presso privati. Le biblioteche nei monasteri comunicavano con gli scriptorium dove venivano tradotti o copiati i testi antichi.

La consistenza del libro di pergamena ed il suo valore economico  è tale da poterlo ritenere un bene prezioso in sé ed al di là del suo contenuto scritto.

Osserviamo ora il libro di carta, ottenuta da sostanze fibrose, prodotti cellulosici quali legno, paglia, cenci da fibre vegetali quali cotone, lino, lavorati con sostanze e metodi per ricavarvi fogli sottili e fini, sbiancati con sostanze chimiche perché vi si possa scrivere sopra.

È nel basso medio evo che avviene il definitivo passaggio dalla pergamena come materiale scrittorio alla carta.

I costi si riducono drasticamente sia delle materie prime che dei tempi di produzione per cui dove si produceva un solo testo di pergamena ora se ne producono anche quaranta di carta.

Tali cambiamenti producevano sentimenti contrastanti,

–      la nostalgia per il grande libro di pergamena,

–      il senso impercettibile di perdita, come se con la consistenza materiale del libro fosse andato perduto anche il suo contenuto, opera di grandi filosofi del passato e di santi religiosi,

–       sul trascorrere del tempo, andato ed irrecuperabile perché in quel cambiamento, c’era sempre il riscontro del tempo trascorso ed andato.

Chi prendeva tra le mani un libro di carta, leggero, delicato, lo faceva adesso per il suo contenuto, non per la sua bellezza ricca di disegni variopinti e miniature come quelli di pergamena, fatto di fogli svolazzanti e fragili che a lasciarne uno su una pietra o su un tavolo all’aperto anche un venticello leggero poteva sfogliarne le pagine una a una.

Con il libro di carta nascono adesso le librerie, anche se ancora il costo dei libri è elevato e la passione per essi può mandare economicamente in rovina oltre che far perdere il senno come è capitato all’hidalgo (signore) Don Alonso Quijano della Mancia che si fece cavaliere e si chiamò Don Chisciotte della Mancia; lo stesso don Abbondio non poteva disporre di libri suoi per l’alto costo e se li faceva prestare dal curatolo suo vicino, come ci dice Alessandro Manzoni : “Bisogna sapere che don Abbondio si dilettava di leggere un pochino ogni giorno; e un curato suo vicino, che aveva un po’ di libreria, gli prestava un libro dopo l’altro, il primo che gli veniva alle mani. ”

Con la evoluzione dei caratteri di stampa, con Johannes Gutemberg, in quelli in metallo mobili aumenta la produzione dei libri e se ne abbassano i costi e si creano i presupposti tecnici per la diffusione di massa del libro. Anche i privati possono permettersi ricche biblioteche, e non ci sarà borghese che non avrà la sua biblioteca .

La fase attuale della scrittura digitale consente di avere biblioteche con migliaia di libri, sempre accessibili e dalla rapida consultazione di brani remoti.

Il costo del libro digitale che puoi acquistare stando comodamente seduto alla tua scrivania è ridotto anche più di un quinto sul testo cartaceo, testo cartaceo che si è fatto costosissimo e che riduce drasticamente i lettori che non sono ancora arrivati alla lettura digitale.

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