I Racconti di Nicola Quagliata
L’acqua del nubifragio che giovedì 2 settembre 1965 siabbattèsui comuni della Sicilia occidentale,
– Marsala,
– Paceco,
– Valderice,
– Erice,
– Custonaci,
– Buseto Palizzolo,
– S. Vito Lo Capo,
– Castellammare del Golfo
– e Calatafimi,
scesa a lavina dal versante sud di monte Sparagio,
dal lato che guarda a Buseto e vede anche il Monte Erice,
e le Egadi, Levanzo, Marettimo e Favignana,
e ci si figura nella mente l’”eccelsa cima” di monte Cofano,
scavando imperiosa e risoluta nel terreno,ha scoperchiato le fosse mortuarie di una necropoli antica, sconosciuta anche a quanti in quella terra vi avevano affondato il vomero trainato da possenti muli.
In quel punto dove finisce la montagna e inizia in pendio il coltivo a vignato, si avvertono gli odori, a tratti miscelati in uno, o distinti a seconda delle correnti, dell’asparago e del finocchietto e del porcospino dalla montagna, e dello zolfo che si dà alla vite o del mosto quando l’uva è matura ed alla vendemmia e del mandorlo amaro e delle fave e del grano coltivati.
Scoperchiate con furia le tombe, diseppellito quello che morti avevano accuratamente seppellito e sigillato tra pesanti balate, senza compassione e alcun turbamento e pietas, da natura a natura, strappò dall’interno delle fosse delimitate da glabre balate di marmo, le ossa tutte, spargendole sul terreno alla rinfusa.
Le ossa oblunche di femori e tibie potevano essere ancora raccolte e tenute, come io feci, nel palmo delle mani come legni di rami secchi.
E legnetti secchi sparsi erano le falangi delle mani cosparsi numerosi sul terreno.
Teschi non se ne vedevano, ed era tanta la mia curiosità per questi.
I teschi mantengono ancora, anche dopo millenni, tutta intera la dignità della persona e per questo gli si dà un riguardo e non li si tratta come cose, ma ancora come parte di persona.
Quando un siciliano incontrò una crozza gli si mise a parlare con la stessa dolcezza e gentilezza con cui si rivolgono domande ad un forestiero, e la crozza con lo stesso riguardo e attenzione gli rispose in un malinconico dialogo autobiografico.
Quella crozza che nella realtà dell’Amleto di William Shakespeare appartiene al buffone di corte Yorik ma che in molte rappresentazioni della tragedia viene posta nella mano di Amleto mentre reclama il suo monologo dell’essere o non essere.
Continua …