Chiesto un risarcimento danni sia per i naufraghi sia per le Ong Per gli avvocati di alcuni dei 147 naufraghi della Open Arms e delle organizzazioni costituite parti civili al processo di Palermo “ci sono tutte le condizioni per affermare la responsabilità penale dell’allora ministro dell’Interno” Matteo Salvini, per il quale il pubblico ministero ha chiesto sei anni di carcere con l’accusa di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per avere impedito ai migranti, soccorsi cinque anni fa dalla nave della ong spagnola, di sbarcare a Lampedusa, tenendoli in mare per 19 giorni.
Appoggiando in pieno la requisitoria della Procura “fatta in modo molto argomentata sia sulla ricostruzione dei fatti sia sulle disposizioni giuridiche che sono state violate dell’imputato”, i legali nelle cinque ore di udienza dedicate alla discussione delle loro tesi, hanno chiesto oltre alla condanna penale di Salvini anche un risarcimento danni per i loro assistiti per un totale di oltre un milione di euro. Adesso i riflettori si spostano sulla difesa che nella prossima udienza del 18 ottobre farà la propria arringa, specificando che “non ci fu alcun sequestro di persona”, ha ribadito l’avvocato Giulia Bongiorno che prima di lasciare in anticipo l’udienza ha espresso “solidarietà ai pm per le minacce” ricevute dopo la richiesta di condanna di Salvini.
“Bisogna condannare con fermezza qualsiasi tipo di invettiva, minaccia e aggressione”, ha affermato.
E riferendosi alle iniziative che sta mettendo in campo la Lega per fare cerchio attorno al “Capitano”, l’avvocato ha smorzato i toni: “Nessun tipo di iniziativa, non so in che termini sarà, è diretta ad avvelenare il clima. Sono la prima a dire che non si devono alzare i toni, dobbiamo ancorarci agli atti processuali perché quelli ci danno ragione. Abbassiamo i toni, limitiamoci ad esaminare gli atti”.
Atti che per le parti civili, invece, inchioderebbero Salvini alle proprie responsabilità. “Sulla nave c’era un carico di umanità dolente, l’imbarcazione si trovava in condizioni meteorologiche difficili – ha sostenuto l’avvocato della ong, Arturo Salerni – Di fronte a queste persone sguarnite di ogni difesa la pubblica autorità con il suo vertice, al di fuori di ogni previsione normativa, decise di privare della libertà le persone che si trovavano in quella condizione. Siamo di fronte all’esercizio di un potere che contrasta con i principi fondamentali del nostro ordinamento, oltre che in contrapposizione col diritto umanitario internazionale”. Per l’avvocato dell’Arci, Michele Calantropo, “il pugno duro di Salvini contro 147 disgraziati era lo strumento elettorale per potersi differenziare perché in quella fase c’era uno scontro politico all’interno del governo, come hanno dichiarato alcuni ex ministri sentiti nel processo”.
Tesi ribadita dal legale dell’Associazione nazionale giuristi democratici, Armando Sorrentino: “Il 9 agosto di cinque anni fa Salvini disse che si andava al voto e il giorno dopo i giornali titolarono: ‘Salvini, voglio pieni poteri’. Quel giorno Salvini ruppe con gli alleati”.
Per la prima volta dall’inizio del processo, cominciato tre anni fa, in aula si è presentato uno dei 147 naufraghi. Un giovane gambiano, Musa, 20 anni, accompagnato dal proprio avvocato, Serena Romano, che ha ricostruito la storia del ragazzo che all’epoca aveva 15 anni.
“Sono stati 17 giorni molto difficili sulla Open Arms, avevo paura anche del mare – ha detto il giovane ai cronisti – Non è facile per me ricordare, cercavo di dormire sulla nave per non pensare, ma era molto difficile. Ora vivo in Sicilia, ho studiato qui, lavoro. Per questo dico grazie mille ai siciliani e agli italiani”.
Gli altri naufraghi difesi nel processo, invece, si sono rifiutati di testimoniare o presenziare alle udienze. “Rappresento tre nigeriani, vivono adesso a Postdam in Germania, quando ho chiesto di tornare in Italia per il processo si sono rifiutati, erano ancora terrorizzati”, ha riferito l’avvocato Mario Antonio Angelelli, che difende anche il comune di Barcellona.