Dalla mafia 4.0 all’antimafia 4.0: la ricetta della Fondazione Caponnetto
Il vertice ha ribadito che siamo ad un punto critico nella lotta contro la piovra ed è necessario un salto di qualità negli strumenti a disposizione della magistratura
Per ora il decreto giustizia è rimasto nel cassetto del governo. Venerdì scorso la parte del Dl che conteneva eventuali nuovi poteri all’antimafia non si è vista nel provvedimento del governo. Eppure i magistrati, da mesi lanciano l’allarme. E anche stavolta è stato ribadito con il convegno, “Dalla Mafia 4.0 all’Antimafia 4.0”. Su quetsi temi e con questo titolo, infatti, si è svolto il 34° vertice antimafia, promosso dalla Fondazione Antonino Caponnetto, presso la Basilica di Santo Spirito a Firenze. In apertura dell’incontro il presidente della Fondazione, Salvatore Calleri, ricorda come lo scopo del vertice sia «fare il punto di quello che serve per combattere la mafia, cercando di codificare le strategie necessarie per continuare a lottare contro un’organizzazione che è sempre in evoluzione». Non si può, però, combattere la mafia del presente e del futuro senza comprendere quella del passato e, soprattutto, senza capire quale sia la mentalità mafiosa e cosa spinga un giovane a scegliere la via dell’illegalità. Il mafioso, infatti, non è un criminale come gli altri e non è nemmeno un detenuto come gli altri. Come spiegato da Claudio Caretto, magistrato del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, «il mafioso è un detenuto quasi modello, ha un comportamento solitamente più rispettoso del delinquente comune, perché si crede parte di una forza statale. Si interfaccia, quindi, con i vari organi dello Stato in maniera paritaria, come se fosse un confronto tra appartenenti a due stati certamente contrapposti, in guerra, ma posti sullo stesso piano». Per capire e contrastare il fenomeno mafioso, quindi, è necessario partire da questa consapevolezza e comprendere che non si è di fronte ad un’organizzazione criminale comune, ma ad una struttura quasi statuale che riesce a permeare nella società e ad essere attrattiva, anche nei confronti dei giovani. Senza una cultura della legalità, infatti, un ragazzo, come spiegato dal magistrato, «può fare una valutazione dei pro e dei contro. Andando a lavorare in fabbrica per 1200 euro al mese potrà fare un certo stile di vita, mentre se fa il mafioso avrà un tenore di vita diverso e, anche nel caso fosse particolarmente sfortunato e venisse arrestato, sa che il carcere non è particolarmente stringente perché, con la riforma dell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario (norma sul regime dei permessi premio ai detenuti per reato ostativo, n.d.r.), sono consentiti sempre più benefici ai mafiosi, cosa che prima non era possibile». Insomma, invece di dare più strumenti ai magistrati per combattere la criminalità organizzata, si indeboliscono le armi già esistenti. Eppure le nuove tecnologie, ormai ben sfruttate dalla mafia, potrebbero essere decisive anche per l’antimafia se venissero messe a disposizione. Silvia Civitella, autrice del libro “Intelligence against international mafia-like criminal organizations”, spiega infatti che «contro una mafia sempre più imprenditoriale, tecnologica, interconnessa e senza più confini, noi possiamo usare i dati per sviluppare delle strategie di contrasto. Attraverso un database contenete lo storico criminale di un soggetto, a quale cosca appartiene, le varie operazioni di polizia che si sono susseguite, le sentenze, eccetera, noi possiamo, grazie a queste informazioni, realizzare un grafico che ci mostra molto chiaramente come si struttura quella cosca, su quali territori insiste, che interessi ha. Con uno strumento di questo tipo, quindi, io potrei aprirlo e decidere di far partire la mia analisi da un determinato territorio andando a vedere che cosche insistono su quel territorio, quali attività svolgono, come sono strutturate, quali sono i membri di appartenenze e monitorare i loro spostamenti, quali sono state le operazioni di polizia che si sono susseguite e posso, così, risalire a tutte le aziende e le attività imprenditoriali legate a quelle determinate cosche. In sostanza, posso mettere insieme tanti pezzi di un puzzle per avere un quadro complessivo della situazione dell’organizzazione criminale che possa guidare le investigazioni future, fino al punto di anticipare l’attività criminale». Affinché tutto questo sia possibile, però, servirebbe una collaborazione sovranazionale, europea. I vari stati membri stanno solo recentemente iniziando a comprendere che la mafia non è un problema solo italiano, ma è ormai una realtà globalizzata e senza confini, che necessita una risposta comune. In un’Unione Europea sempre più divisa e dominata dalle idee sovraniste dei singoli stati, la lotta alla mafia deve comunque essere trasversale e comunitaria.
In un vertice dedicato alla Mafia 4.0 non poteva poi mancare un intervento dedicato ai social e all’uso che ne fa la criminalità organizzata. Sonia Alfano, che da sempre svolge un’intensa attività antimafia, proprio sui social è stata minacciata dal figlio di Riina. Perché bisogna sottolineare che la mafia si è evoluta, è cambiata, ma non si è intenerita. E, come sottolinea Alfano, «la Camorra utilizza le piattaforme social come cassa di risonanza. Le utilizza per lanciare messaggi ai collaboratori di giustizia, per organizzarsi come accaduto recentemente con TikTok, ma soprattutto le utilizza per ostentare uno status. I social vengono usati come strumento per cercare manovalanza, per veicolare il messaggio che è molto meglio spacciare e rubare che andare a lavorare. TikTok, in particolare, è una piattaforma riconducibile alla Cina e non si riesce ad avere su questo nessuna forma di dialogo o a far capire loro la fonte di pericolo che rappresenta. Dopo le 22 di sera su TikTok si vende di tutto, dalla droga alle armi, senza nessun controllo. Parlando della mia terra, la Sicilia, c’è una tendenza preoccupante, con Cosa Nostra che, complici anche le fiction che veicolano un messaggio sbagliato, sta cercando sempre più di assomigliare a Gomorra con attività che sono soprattutto di microcriminalità. A Palermo vengono registrati dai 10 ai 15 furti di auto al giorno e la gente non denuncia perché è spaventata e mi dispiace dire che in questo la riforma Cartabia non ha aiutato. C’è questa tendenza preoccupante di invertire il ruolo di vittima e carnefice, che porta il figlio di Riina a scrivere sui social il 17 novembre, giorno della morte del padre, che lui vivrà per sempre in noi e con noi. Questo post, ho controllato personalmente tutti i commenti che sono più di 1000, ha ricevuto apprezzamenti dalla Sardegna, dalla Germania e tantissimo dalla Sicilia. Questo soggetto, invece, non dovrebbe avere voce ma dovrebbe sparire nell’ombra della vergogna e del disprezzo».
Il 34° vertice antimafia ha ribadito che siamo ad un punto critico nella lotta alla mafia, è necessario un salto di qualità negli strumenti a disposizione della magistratura e di tutte le realtà che la combattono. Sarebbe necessario, inoltre, smettere di commemorare personaggi simbolo come Falcone e Borsellino e allo stesso tempo demolire le leggi da loro volute. La lotta alla mafia deve essere una priorità trasversale a tutti i partiti, italiani ed europei.
fonte lastampa.it