“Non sono stati fatti tutti gli accertamenti”

Processo all’ex vescovo Miccichè: la parola al difensore avvocato Mario Caputo. Contestati gli atti di indagine. In aula assente l’imputato presenti il cognato e la sorella

Quasi tre ore di arringa e altrettante ancora pare ne serviranno all’avvocato Mario Caputo per giungere a quella che appare una richiesta scontata, già dal tenore di questa prima parte di intervento davanti al Tribunale di Trapani, presidente giudice Franco Messina a latere i giudici Nodari e Badalucco. Una richiesta di assoluzione per non aver commesso il fatto, si presume sarà questa quella che formulerà l’avvocato Caputo a totale difesa del suo eccellente assistito, il vescovo emerito della Diocesi di Trapani, mons. Francesco Miccichè. Nel 2012 fu rimosso da Papa Benedetto XVI dalla guida della Curia di Trapani dopo il risultato dell’ispezione disposta dal Vaticano sui conti della Diocesi trapanese, condotta dall’ amministratore apostolico apposta nominato, l’allora vescovo di Mazara del Vallo mons. Domenico Mogavero. Nel processo in corso mons. Miccichè si trova imputato di peculato, per avere distratto i fondi destinati alla Curia attraverso l’8 per mille. Fatti distinti, ma il comune denominatore appare essere l’estrema libertà con la quale l’allora vescovo di Trapani avrebbe fatto uso dei soldi finiti nelle casse della Curia. Una indagine penale scaturita da una inchiesta condotta per mesi e mesi dalla sezione di pg della Guardia di Finanza. La Procura all’esito del processo, durato 4 anni, 25 udienze, circa 50 i testimoni sentiti, ha chiesto per mons. Miccichè una condanna a quattro anni e sei mesi. La difesa con l’avvocato Mario Caputo, si è da subito mossa con il determinato intento di smontare le ipotesi di accusa, dicendo a chiare lettere che potevano essere ricercate le prove circa l’insussistenza dell’accusa, “ma questo non è stato fatto”. Anzi, l’avvocato Caputo, ha aggiunto che a suo vedere, rileggendo le pagine e pagine degli atti di indagine e quelli processuali, quanto detto dai testimoni e dai consulenti, “mons. Miccichè si trova imputato per non aver fornito le giustificazioni a movimenti bancari la cui illiceità la Procura avrebbe dovuto dimostrare, ma si è limitata solo ad annotare una serie di cifre in uscita”. Per l’avvocato Caputo “sarebbe stato accedere al computer usato dall’economo della Diocesi per trovare i riscontri, nessun soldo ha avuto destinazione diversa da quella sancita, opere di carità , assistenza al clero”.
Non è mancata anche il riferimento alle cronache giornalistiche, “mons. Miccichè vittima di una campagna mediatica”. “Cominciò un giornale di Alcamo scrivendo che il vescovo si era appropriato di 1 milione di euro dopo che due fondazioni erano state fuse in una sola (Auxilium e Campanile), accusa però risultata infondata, per poi continuare con racconti circa episodi di furto, appropriazione indebita, ricettazione, anche accuse di pedo pornografia, tutte vicende finite in archivio, è rimasto solo questo processo” ha sottolineato l’avvocato Caputo. “Ma questo processo non doveva essere nemmeno celebrato”. La storia è nota, ma va riepilogata. Tra il 2009 e il 2012 circa 400 mila euro provenienti dalla Caritas, tratti dall’8 per mille, sono finiti dai conti correnti dedicati a quello della Curia e da qui attraverso prelevamenti, “mai direttamente fatti dal vescovo Miccichè”, sul conto anche personale dell’imputato. Denari dei quali sarebbero stati beneficiari anche i suoi familiari, per acquisto e ristrutturazione di immobili di pregio a Palermo e Monreale. “I rendiconti presentati alla Cei (Conferenza Episcopale Italiana) sull’utilizzo dei fondi dell’8 per mille – ha sottolineato l’avvocato difensore di Miccichè – sono stati sempre tutti approvati, di sbagliato c’è solo l’aver riversato il denaro nel conto corrente della Curia, ma qui i testi ci hanno detto che ciò ha sempre rappresentato una prassi, niente dolo dunque”. Soldi mal spesi? “Ma quando mai, sono sotto gli occhi di tutti gli interventi realizzati, dalla biblioteca diocesana, al monastero delle Clarisse, dalla Chiesa Regina Pacis agli aiuti per il Terzo Mondo, anche per gli aiuti alle popolazioni di Haiti dopo un devastante terremoto”. C’è la parte dei una certa somma finita a favore dei familiari, “basta cercare le prove e trovare la restituzione di somme in contanti da parte del vescovo al cassiere della Curia”. Nella memoria dell’accusa si descrivono però atti e comportamenti di altro tenore, si indica il possesso di un portafoglio titoli, tenore di vita sfarzoso, proprietà immobiliari. Come documentato dall’azione di indagine della Guardia di Finanza. Ma per la difesa si tratta di “affermazioni improprie”. Si è citato il teste Occhipinti, ex autista personale del vescovo, “che ha fatto cenno come spesso una panino era sufficiente per il pasto durante i loro spostamenti”, ha poi definito normale che il vescovo Miccichè “possa aver investito le proprie liquidità, tratte dallo stipendio da vescovo, nei titoli”. Il difensore ha anche parlato di una cifra ingente , 193 mila euro, percepita tra il 2007 e il 2012 per l’esercizio della propria attività ecclesiale, cerimonie di vario genere, che puntualmente destinava al Seminario vescovile: “se era uno avvezzo al denaro – ha sottolineato l’avv. Caputo – avrebbe avuto ottima occasione per tenere per se quel denaro che era frutto di offerte”. Per il difensore di mons. Miccichè le testimonianze che la Procura ha indicato essere fonte di prova, quella dell’ex direttore della Caritas, Sergio Librizzi (sospeso dalla tonaca dopo essere finito condannato per gravi reati di violenza sessuale), e dell’ex direttore amministrativo della Diocesi, mons. Ninni Treppiedi, non sarebbero così decisive per poter accusare l’ex vescovo Miccichè. L’arringa proseguirà la prossima settimana, poi, dopo la replica del pm, ci sarà la sentenza. “Mi auguro – ha detto l’avvocato Caputo – che alla fine potranno essere coincidenti la verità processuale e quella reale, a favore del mio assistito”.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.