Per lei è stata la prima volta in Eccellenza, quali sono state le sensazioni predominanti?
Grande felicità e orgoglio, perché un arbitro rappresenta non solo se stesso, ma anche la propria sezione arbitrale. Il traguardo raggiunto è frutto di sacrifici e abnegazione, quindi la soddisfazione è enorme. Al fischio d’inizio, però, queste sensazioni svaniscono per lasciar posto alla concentrazione, che è indispensabile per assolvere al ruolo al quale siamo preposti.
Quale altre caratteristiche, secondo lei, deve aver un arbitro?
Sicuramente bisogna essere molto decisi, infatti la difficoltà maggiore all’inizio è prendere decisioni importanti, anche decisive, in piccole frazioni di tempo, in cui l’istintività riveste un ruolo importante. Alla base di tutto deve essere un’ottima conoscenza del regolamento e una condizione atletica adeguata. Infine una cosa essenziale è riuscire a “far squadra” con gli assistenti per avere una visione quanto più ampia e uniforme degli episodi della gara.
Oltre agli assistenti, secondo lei, non aiuterebbe un supporto tecnologico?
Dal mio punto di vista in Italia abbiamo ottimi arbitri, riconosciuti anche a livello internazionale, che assicurano un regolare svolgimento dei campionati. La possibilità di errore è sempre dietro l’angolo, perché siamo uomini e non macchine. Il nostro obiettivo è quello di imparare dai nostri errori e migliorarci sempre di più. Secondo me il supporto tecnologico non può essere garantito a tutte le categorie e anche se applicabile, rischierebbe di spezzettare troppo il gioco.
Il rapporto in campo con i giocatori quanto incide sul vostro lavoro?
Il rapporto con i giocatori è un aspetto importante, che dovrebbe basarsi sul rispetto dei ruoli. Il giocatore che accetta le decisioni arbitrali, sicuro della nostra imparzialità di giudizio, contribuisce ad una nostra maggiore serenità, che si ripercuote sulla gestione della partita.
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