Intervista ad Ignazio Messana, esperto della Provincia Regionale di Trapani per le risorse locali, impegnato in attività di ricerca studi e promozione del territorio a cura di Pietro Pignatiello e Lidia Milazzo.
Quando nasce Alcamo?
La prima notizia documentaria che riguarda Alcamo è del 1154, anno in cui il celebre geografo arabo Edrisi scrisse “Lo svago per chi desidera percorrere le regioni”, descrivendo il Menzil al-Qamah (casale di Qamah) e il territorio circostante. Gli arabi sbarcano a Mazara nell’anno 827, quattro anni dopo espugnano Palermo e la dichiarano capitale dell’Isola; dieci anni dopo tutto il Val di Mazara è in mano musulmana. Sorgono i casali, piccoli borghi finalizzati, soprattutto, allo sfruttamento agricolo del territorio. E’ quindi tra la seconda metà del IX sec. e l’inizio del X secolo che verosimilmente nasce il primo nucleo del casale di Qamah, in c/da S. Vituzzu. Su di un’area di circa due ettari, da via Orto di Ballo alle spalle della prima chiesa madre di Alcamo, S. Maria della Stella, continuando lungo la via per Alcamo Marina fino al cimitero vecchio, sono concentrati numerosi agricolo del territorio. E’ quindi tra la seconda metà del IX sec. e l’inizio del X secolo che verosimilmente nasce il primo nucleo del casale di Qamah, in c/da S. Vituzzu. Su di un’area di circa due ettari, da via Orto di Ballo alle spalle della prima chiesa madre di Alcamo, S. Maria della Stella, continuando lungo la via per Alcamo Marina fino al cimitero vecchio, sono concentrati numerosi frammenti di ceramiche databili tra il X e il XII secolo d.C.. che avvalorerebbero questa ipotesi.
Una domanda che ci preme particolarmente farle: da dove deriva il nome Alqamah?
Sull’origine del nome Alqamah si sono fatte molte ipotesi. Da escludere (poiché senza alcun riscontro documentario) quella ricavata dal nome del fantomatico capitano Adelkam, (citato dallo storico I. De Blasi nel XVIII sec.), fondatore del castello sul Bonifato (sic!). Tra le tante congetture quelle a mio avvio da sostenere sono o quella derivata dalla sua naturale funzione di luogo di sosta, quasi obbligatoria, (ad un giorno di cammino sul percorso Palermo-Trapani ed equidistante da queste due città) o, più probabilmente, quella originata dal termine arabo Hammah, (caldo) denominazione dell’attuale Ponte Bagni, a brevissima distanza dalla nostra città.
Ci diceva prima che esistevano altri casali…
Il territorio, in epoca medievale, era suddiviso in tanti fondi chiamati divise (feudi), nei quali i centri rurali abitati erano i casali. Se pur nelle fonti scritte non vengono citati tutti i casali, abbiamo le prove della loro esistenza dalle copiose ceramiche islamiche che si rinvengono nelle contrade di S. Leonardo, San Nicola (figura 1 e figura 2), S. Ippolito, Modica, Casale, etc.. La presenza di un casale in c/da S. Ippolito non era fino a pochi anni fa confermabile da sicuri ritrovamenti archeologici. Ma un’indagine da me condotta nel 2003, nei pressi dello stadio S. Ippolito, ha rivelato la presenza di ceramiche islamiche. Alcune labili tracce di muri, ma soprattutto la topografia del terreno, suggestivo e panoramico di c/da S. Ippolito, mi indussero a pensare all’eventualità di trovare nel luogo dove sorgeva, nel XII secolo, il castello di Mir.già con il suo borgo, distante quasi un miglio arabo (secondo alcuni studiosi 2.400 m) da Alqamah del quale Edrisi ci fa cenno indicando anche la distanza di Mir.già da al-Hammah.
Dunque un castello, oggi scomparso, sarebbe esistito nella zona di San Ippolito, cosa le fa pensare che si trovasse proprio lì?
Il castello di Mir.già con il suo borgo è nominato da Edrisi per l’importanza che il sito fortificato rivestiva nel sistema difensivo dell’epoca, probabilmente come rifugio in alternativa ad Alqamah, da utilizzare come luogo sicuro in momenti contingenti. Le assonanze fonetiche di alcune contrade del territorio alcamese che richiamano il toponimo Mir.già sono: Margi, Maruggi, Birgi. Un uccello, il beccaccino, in dialetto è chiamato scacciamargi, cioè che calpesta un pantano; ammargiato si traduce con inzuppato. Il riferimento all’acqua sembra evidente e tutta l’area è ricca di sorgenti di acqua. È molto probabile che l’antico toponimo possa avere relazioni con l’acqua, parola che in arabo si scrive mei, ma si pronuncia “mi”. Oltretutto la zona è anche conosciuta col nome Birgi, anche se sulle carte topografiche è indicata come Virgini. Sarebbe quindi possibile, dopo più di otto secoli, che una parte della contrada, pur avendo assunto il nome di San Ippolito, abbia mantenuto il vecchio toponimo Mir.già, diventato, col tempo, Birgi. Le ceramiche, la toponomastica, le distanze e le indicazioni di Edrisi lasciano concretamente ipotizzare che il “piccolo ma forte castello con borgo” del XII secolo si trovasse proprio a S. Ippolito.