ALCAMO. In merito alla presentazione e divulgazione dello stradario di Alcamo Marina da parte del Comune di Alcamo, pubblichiamo la risposta critica ed acuta del Prof. Libio Piccichè.
LA VILLEGGIATURA DI CIELO D’ALCAMO
“Il male e le sventure svaniscono con un tuffo nell’eufemismo” (R. Hughes)
Premessa. Il territorio inteso come contesto ambiente delle comunità che lo abitano è sempre l’esito ultimo, il risultato delle scelte collettive ed individuali; è cioè nella sintesi plastica dell’immagine, lo specchio della società.
La cultura artistica attraverso l’esperienza dei pittori vedutisti, ha nel ‘700 elaborato la moderna nozione di paesaggio visto nel complesso e delicato rapporto natura-cultura: nella nostra relazione percettiva col territorio si conserva quindi anche la memoria della bellezza della pittura di paesaggio (il “belvedere”), dove il colpo d’occhio riesce a coglie l’ordine dell’ambiente e a trasformare questa sensazione nel profondo sentimento del vivere in armonia con il mondo. Ripercorrendo sinteticamente la recente storia della gestione politica del nostro territorio, analizzata tra l’altro in modo illuminante da Salvatore Settis nel suo saggio Paesaggio, Costituzione, Cemento, emerge con oggettività un quadro allarmante circa i danni, molti irreparabili, inflitti al nostro territorio nazionale; le responsabilità di quel processo di cementificazione selvaggia che ha compromesso in modo irreversibile l’antica bellezza dei luoghi, specie nel meridione e in Sicilia, sono da attribuirsi: alla classe politica complice delle speculazioni mafiose (il sacco delle città ed il saccheggio delle coste) ed ai cittadini, responsabili del fenomeno dell’abusivismo edilizio.
La saturazione dei territori comunali e la simultanea percezione dei limiti esistenziali delle metropoli oberate dal traffico, dalla spazzatura e dall’inquinamento, hanno in tempi più recenti, spostato l’attenzione collettiva verso il recupero della natura e dell’arte: cosicché oggi accanto alle devastazioni ambientali e agli ecomostri, proliferano senza sensi di colpa e con schizofrenica nonchalance, manifestazioni artistico – culturali e riserve naturali. Chi con occhio vergine osservasse il Golfo di Castellammare non potrebbe non constatare, perché salta agli occhi, la contraddizione stridente di due realtà che si fronteggiano figlie di culture divergenti: Alcamo Marina prodotto ambientale di una classe dirigente ottusa che non seppe, in tempi opportuni, cogliere le meravigliose potenzialità del luogo, e lo Zingaro oasi naturale frutto della più recente coscienza ambientalista . Si dà il caso infine (ironia della sorte) che i giovani politici del post-idealismo (sia di destra che di sinistra) i quali ora decantano all’unisono l’amore per la natura, per l’arte e per la cultura in genere, strumentalizzata in realtà solo per alimentare il business del turismo di massa, sono i figli di quella stessa classe politica che dal dopoguerra in poi, si è resa responsabile delle diffuse devastazioni ambientali fino ,complice la criminalità organizzata, ai più recenti scandali di inquinamento. Così avendo i padri rovinato il territori (la geografia), adesso è l’arte e la cultura (la storia) ad essere minacciata della stessa sorte per l’inettitudine dei figli.
Lo stradario. Non so chi sia il “genio letterario” che ha scritto la presentazione-descrizione dello stradario di Alcamo Marina recentemente divulgato dal Comune di Alcamo, ma iniziamo col dire che le responsabilità politiche e culturali di cui gronda, dal momento che il testo viene divulgato come punto di vista ufficiale, ricadono sulle teste dell’intera collettività e degli organi politico istituzionali riassunti nella figura del sindaco; in quanto se le premesse culturali della buona politica vanno cercate nella capacità di lettura della realtà, di individuarne i difetti (in questo caso macroscopici) e i limiti al fine di attuare gli adeguati rimedi (qualora fosse ancora possibile), si deve dedurre che una realtà percepita perfetta (come quella descritta nello stradario) non debba necessitare di quei rimedi urgenti che invece sono stati strombazzati ai quattro venti nelle campagne elettorali. Il testo oltre ad essere una ridicola mistificazione della realtà, costituisce dal punto di vista stilistico un prezioso documento per uno studio fenomenologico del delirio contemporaneo. Ma andiamo con ordine. La prima sana reazione di chi si accostasse a questa amena lettura e che si stia descrivendo un altro luogo (o un luogo inesistente), altri contesti ambientali di altre epoche storiche; poi subentra il disgusto per le menzogne visionarie e i camuffamenti, per la falsità delle descrizioni paesaggistiche edulcorate dalle bugie pubblicitarie dove le evocazioni vagamente poetiche da romanzo d’appendice inneggianti ad una natura incontaminata (la geografia) sfidano stereotipi storico-culturali come Cielo d’Alcamo o i Normanni (la storia). Uno si chiede ma saranno in buona fede? ci sono o ci fanno? perché con tutta la buona volontà del campanilismo da quattro soldi è difficile affermare che un territorio saccheggiato dall’abusivismo selvaggio saturo di pozzi neri possa avere una spiaggia che “profuma di sale”; o ignorare davanti al “ mare con la sua azzurra acqua cristallina” gli annosi cartelli che vietano la balneazione. Inoltre queste ridicole descrizioni risultano più odiose perché trasudano della retorica e dei luoghi comuni del politichese, alludendo continuamente: ad una gestione coscienziosa ed efficiente (“…La spiaggia a tratti attrezzata… “…le passerelle per i diversamente abili…”) e ad una compagine sociale felice (“i bambini che sulla battigia costruiscono fantastici castelli, “…sportivi che sfrecciano veloci sul bagnasciuga…”). E poi ancora citazioni sconclusionate che accostano Baglioni a Verga l’archeologia al surf, le riserve naturali alle ormai inesistenti (ma tanto importano le citazioni!) tonnare, in quel guazzabuglio mediatico- comunicativo che ha ormai svuotato i cervelli dalla logica e dal senso critico.
E veniamo ai nomi delle strade vera campionatura di esercizio eufemistico, perché è di questo che stiamo parlando, e cioè di uno stradario, seppure di uno stradario demagogico. La questione presenta un duplice aspetto che riguarda l’urbanistica (sulla quale è meglio stendere un velo pietoso) e la toponomastica. Nella toponomastica delle città generalmente si conservano la memoria collettiva di una comunità e le trasformazioni urbanistiche sedimentate nel tempo, ma una città senza storia (senza cioè un racconto storicizzato) non ha memoria, così che i nomi delle strade arbitrariamente inventati costituiscono una toponomastica impraticabile proprio come le neolingue costruite artificiosamente, e il senso simbolico delle parole, che inevitabilmente rimandano all’universo dell’immaginario collettivo, si intorbidisce nel flusso senza tempo della comunicazione di massa. Ecco che: occultare la realtà degli orribili cavalcavia fatiscenti, o l’ammasso di bottiglie rotte lungo la linea ferrata (indizio dell’alcolismo giovanile), descrivere Alcamo Marina “con le sue tante strade e viuzze che sanno di venti e di mari ..ecc. ecc”, ovvero battezzare spazi senza disegno con nomi altisonanti come “via aurora boreale” o “via dei cavallucci marini”, non costituisce affatto una rappacificante ottimistica visione della realtà, ma il millantato credito avverso al turista in cerca dell’esotico; e cioè in fine professare la quinta essenza (tra l’altro ormai fuori moda) del “politically correct” che il critico Robert Hughes ha definito come: ” la malafede dei politicanti che devastano la lingua senza smuovere di un millimetro la realtà”.
Prof. Liborio Piccichè del Liceo Classico di Alcamo