Intervista ad Ignazio Messana, esperto della Provincia Regionale di Trapani per le risorse locali, impegnato in attività di ricerca studi e promozione del territorio a cura di Pietro Pignatiello e Lidia Milazzo
La sommità del monte è un punto strategico importantissimo dal quale si riesce a vedere (controllare) tutto il territorio circostante e l’intero golfo di Castellammare, ci parli del castello che vi sorgeva…
Le fonti storiche del XII e XIII secolo non ci informano sull’esistenza di un fortilizio sul Bonifato. Pertanto, senza una campagna di scavi, non è possibile avanzare alcuna ipotesi in merito all’esistenza di un castrum assimilabile ai castra bizantini e normanni. Nel 1332 Federico III tenta di ripopolare il Bonifato e di edificare il castello. Pochi decenni dopo, nel 1398 è documentato un castrum bonifati costruito o ricostruito da Enrico Ventimiglia e distrutto per ordine di Re Martino.
Il castello è stato fabbricato, presumibilmente nei primi decenni del XIV secolo, con pietra locale amalgamata con malta bianca: “la trubba”, formazione geologica costituita da calcari e argille (trubi).
Della fortezza oggi restano i ruderi distribuiti attorno alla corte, a pianta pressoché triangolare, ai cui vertici sono accentrati i punti nodali per la difesa: tre torri più una mediana, sul lato nord. La penetrabilità al castello era condizionata, come tutti i castelli, dal superamento di ostacoli. Nel caso del nostro fortilizio, la presenza di una cisterna sotto la chiesa, lascia pensare alla trasformazione di un fossato da varcare.
Oggi nuove torri controllano il sito, delle quattro medievali ne è rimasta solo una, cosa possiamo dire di questa?
Delle quattro torri originarie oggi rimane il mastio, un robusto torrione, a pianta rettangolare, dotato di feritoie a toppa, dalle quali gli arcieri rispondevano all’attacco esterno.
La torre principale o mastio è caratterizzata da ambienti organizzati in maniera elementare e poco consona alla funzione residenziale, cioè prevale l’aspetto difensivo su quello architettonico, ma è anche abitazione e ospita, negli ambienti distribuiti su più livelli, l’armeria, la cisterna per l’acqua, il deposito di viveri a lunga conservazione: frumento, vino, sale, olio, legumi, carne e pesce salato.
Alla torre vi si accedeva dal primo piano attraverso una scala esterna mobile, forse di legno. Dalla prima delle due stanze del primo piano, con camino, si sviluppava la scala che raccordava il secondo e il piano di copertura terminante con un coronamento merlato oggi non più esistente.
La chiesa che oggi sorge in cima è una costruzione moderna o un’evoluzione di un’eventuale cappella del castello?
La collocazione della chiesa, in cima e ai margini di un dirupo trova numerosi confronti, in Sicilia, con santuari arcaici destinati, in origine, a culti pagani e, successivamente, trasformati in chiese.
Da atto notarile del notaio Balduccio del 1558, è il primo documento che attesta una chiesa eretta da “antico tempo” dentro il castello di Bonifato.Ma si ha notizia che già, anni prima, esisteva sul Monte un luogo di eremitaggio tenuto da preti secolari dediti a severa vita ascetica. Pochi decenni dopo la chiesa, abbandonata e rifugio di bestiame, è ricostruita dai Carmelitani e pochi anni dopo, nuovamente abbandonata, pare per i continui furti subiti dai religiosi che l’occupavano.
Il medaglione di travertino, sul frontespizio della chiesa, datato 1646, testimonia lavori di manutenzione sul castello e la chiesa. Numerose attestazioni documentarie si rilevano, dai libri contabili della congregazione dell’Alto, sugli interventi edilizi della chiesa e sugli introiti per carichi di neve venduta dalla Congregazione stessa tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo. In questi anni la chiesa concorreva alla “chiamata”, una tassa annua da pagare al vescovo.
Nel 1900 la chiesa sul Bonifato risulta diroccata; trent’anni dopo è riedificata e dotata di energia elettrica. Meta di pellegrinaggi e processioni propiziatrici di pioggia sono certificate ad iniziare dal XVI secolo.
Allora, in origine, il Bonifato era sede di un antichissimo culto pagano?
E’ presumibile di si, ma ad oggi, per la mancanza di scavi, non abbiamo il riscontro archeologico.
In tutto il Mediterraneo e non di meno nella Sicilia arcaica e classica si erigono templi. La rocca ericina era famosa in tutto il Mediterraneo per il culto della dea Venere, così come la Rocca di Enna, ancora oggi chiamata rocca di Cerere. (n.d.r. Cerere era la divinità della madre terra, già presente nei popoli preromani, in seguito assimilata alla greca Demetra).
Il culto di Demetra è attestato in tutta la Sicilia. In particolare nell’agro alcamese, ne abbiamo testimonianze sul Ferricini.
Nell’estate del 2007, la realizzazione con mezzi meccanici di una fascia taglia fuoco sul Monte Ferricini, a pochi chilometri da Alcamo, portò alla scoperta fortuita di reperti, della fine del VI sec. a.C., di grande interesse. In superficie ho raccolto, e consegnato alla Soprintendenza di Trapani alcuni frammenti di statuette di terracotta e altri reperti che ho successivamente pubblicato, nel volume “Demetra ad Alcamo”. In relazione a questa consistente e significativa evidenza, e dal confronto con altri contesti simili, appare plausibile un collegamento con le cerimonie in onore di Demetra che periodicamente dovevano svolgersi nel santuario.
A Demetra si accendevano i fuochi e le torce in processione, ancora oggi i fuochi si continuano ad accendere, a settembre, alla vigilia dell’ascensione al Monte, dov’è la Madonna dell’Alto.
Ogni castello ha le sue leggende, specialmente se isolato e diroccato. Ne esiste qualcuna sul castello di Monte Bonifato?
Un monte è sempre sede di misteri e leggende, di favolosi miti, di tesori nascosti, di truvature, di spiriti, di apparizioni e incantesimi, di forze e manifestazioni soprannaturali. Sulla cima del monte una leggenda popolare ha collocato una grotta, colma di oggetti d’oro sorvegliata da ‘u turcu. Si racconta che ai piedi del Monte, in c/da Roccaliscia, vivevano tre cavalli d’oro che si mostravano di notte.
Inoltre una leggenda popolare alcamese racconta di una fata Delia, che abitava nei pressi della Funtanazza e che custodiva una truvatura, cioè un favoloso tesoro, nel grembo di una grotta. Delia era una bona fata, bedda comu lu suli, bianca comu lu latti di carnagione e cu ‘du masciddi comu du rosi avvilutati. Ora c’era un viddanu, cu ’n figghiu, picciutteddu bonu e graziusu di facci, chi abitava in un pagghiaru (casa costruita con canne), ‘un tantu arrassu di la turri (la torre del castello). I due giovani si incontrano, inizia un corteggiamento a suon di friscalettu (fischietto di canna), nasce l’amore. I due giovani si sposano e il giovane, sposo della fata bona, diventa un fatu bonu, bonu fatu ed è per questo motivo che la Muntagna oggi si chiama Bonifato. Molti cunti alcamesi sono legati a fantomatiche o a reali truvature di tesori islamici nascosti in vecchie case o sul monte Bonifato.
Infatti, mi pare di ricordare che nei tempi antichi, quando i tempi volgevano al peggio, si mettevano al sicuro gli averi, ori e monete, sotterrandoli o nascondendoli in un posto sicuro, con la speranza di tornare a recuperarli in tempi migliori o al ritorno da guerre o lunghe assenze. Questo diede, nei secoli successivi, vita alle leggende di tesori nascosti, spesso protetti da una figura legata al folclore popolare.
Salendo abbiamo visto queste grandi buche nel terreno, che cosa sono?
Sul Bonifato si contano non meno di cinque neviere, fuori terra, a pianta circolare, di forma tronco conica, destinate ad accogliere e conservare la neve. Sono documentati nivalori (raccoglitori di neve), gabelle, monopoli, sorbetti, regolamenti, commerci, medicine: ogghiu di nivi e cura di lu friddu; proverbi: a la squagghiata di la nivi si vidinu li pirtusa; ed ancora, nella chiesa Madre, la Madonna della neve, un affresco della fine del ‘300.