Intervista al Prof. Roberto Calìa, storico.
A cura di Pietro Pignatiello e Lidia Milazzo
Una delle peculiarità della nostra cultura popolare che salta immediatamente agli occhi è lo spostamento di abitazione, e abitudini, scandito da due feste religiose molto importi per gli alcamesi. È infatti abitudine nostra “scinnirisinni a mari” all’indomani dei fuochi d’artificio che chiudono la Festa della Madonna dei Miracoli, patrona di Alcamo, e “acchianarisinni” all’indomani della “vampa” dell’8 settembre, data della festività religiosa dedicata alla Madonna dell’Alto, verso la quale si compie un pellegrinaggio percorrendo a piedi (alcuni scalzi) la strada fino in cima, dove vi è il santuario.
Andiamo in ordine…
Il culto mariano in Sicilia, come in Alcamo, è molto antico. Sin dalle prime testimonianze, nella terra di Alcamo era presente il culto verso la Madonna, fonte della misericordia di cui esisteva una edicoletta dove oggi sorge il Santuario di Maria Santissima dei Miracoli. La tradizione storica vuole che nel 1100 questa edicola in pietra fosse già oggetto di venerazione e devozione da parte degli alcamesi che vivevano all’interno di aggregazioni rurali nei pressi del quartiere san Vito. Successivamente questa edicola, nel momento in cui la città dal punto di vista urbanistico incominciò a svilupparsi attorno al castello dei Conti di Modica, dando vita ai primi 4 quartieri (ved articolo “Historia Alcami: I Palazzi storici”), difesa nei secoli da una cinta muraria.
L’antica edicoletta non solo fu abbandonata, ma fu anche coperta da rovi, cespugli e canneti, a tal punto da non essere più visibile. Nel 1547 la Madonna ha voluto “scoprirsi” agli alcamesi attraverso un messaggio semplice: mentre alcune donne erano intente a lavare i panni nel fiume sottostante ecco arrivare delle pietre che colpivano le persone ammalate le quali riottenevano la salute. A tal punto il messaggio fu chiaro. La popolazione presa dalla paura e anche dalla straordinarietà del fatto informarono le autorità cittadine, sia civili che religiose che militari e da un sopralluogo fatto, con somma meraviglia, dopo avere abbattuto i roveti, i cespugli e i canneti si videro davanti un’antica edicola della Madonna fonte delle misericordia. Questo clamoroso evento portò la Chiesa ad attenzionare il caso. I numerosi miracoli, avvenuti tramite questa sacra immagine, fecero sì che la Madonna, fonte della misericordia, fosse elvata al titolo di Madonna dei Miracoli e per l’occasione il Capitano Ferdinando Vega, testimone oculare del fatto, diede i primi soldi per la costruzione del Santuario.
Già nel 1200 la prima chiesa Madre, sul versante Nord del quartiere San Vito, era stata dedicata a Santa Maria Fonte della Misericordia e poi delle Stella simbolo che simboleggiava l’astro del cammino dell’uomo. Nel 1332, essendo il quartiere di San Vito abbandonato, poichè la popolazione, come abbiamo detto sopra, si era spostata intorno al Castello, viene costruita una seconda chiesa Madre sul sito corrispondente a quella che esiste ancora oggi e, non a caso, la chiesa viene dedicata a Maria Santissima Assunta in Cielo per continuare l’antico titolo di Madonna della Stella, “Astro del Cielo nel nostro cammino” e quindi fonte della misericordia per il popolo alcamese.
Fino al 1547 patrono di Alcamo, come per tanti comuni limitrofi, era il Santissimo Crocifisso, il quale ancora oggi a Calatafimi mantiene il primato devozionale, mentre la stessa Salemi, che aveva come patrono il Crocifisso, dopo il terremoto del 1700 elevò a patrono San Nicola. A questo punto i calatafimesi, fedeli al culto e alla devozione del del Santissimo Crocifisso apostrofarono i salemitani con un motto in dialetto tanto pesante:
“Dunni viriti muntagni di issu chistu è Salemi, passatici arrassu picchì sunnu nemici di lu Crucifissu e amici di Satanassu”.
Dopo il culto mariano, verso la Madonna Fonte della Misericordia, e dei Miracoli, sul Monte Bonifato, intorno al 1300, visto che il castello dei Ventimiglia era caduto in abbandono e in parte ricostruito all’interno della torre (che si affaccia sul precipizio del lato Sud-Est), venne costruita sul monte una chiesetta dedicata a Santa Maria dell’Alto. Quest’ultima sembrava dare ad Alcamo una protezione della Madonna dalla cima del Monte Bonifato, o dei fati buoni (nel mondo antico vi erano i fati buoni e i fati cattivi che, per sincretismo religioso, passarono nella chiesa cristiano cattolica come i santi buoni e i demoni cattivi), e dal basso, dal lato Nord, il Santuario della Madonna dei Miracoli. Come se non bastasse, nel 1500 viene arricchito di un tempio dedicato alla Madonna anche il versante Ovest con la chiesa della Madonna delle Grazie e il versante Est con la chiesa della Madonna della Catena.
Quindi le madonne non solo scandiscono il tempo ma anche lo spazio…
Si infatti, i 4 punti cardinali della città erano protetti da 4 santuari mariani che nella religiosità popolare sostengono gli alcamesi da tutti gli attacchi sia bellici come anche naturali.
Oltre al normale culto mariano abbiamo anche il culto francescano. Il Vescovo di Trapani nomina la chiesa in Alcamo Marina e la dedica alla Madonna, Stella Maris (Stella del Mare); abbiamo quindi un ritorno dell’appellativo Stella, che ha sempre accompagnato la figura mariana nella cultura alcamese.
Accennavamo prima al cadere delle alle feste
Al culto mariano in Alcamo si legano anche delle tradizioni che, per sincretismo religioso trovano origine nel mondo pagano. Esempio ne è l’usanza di accendere i falò la vigilia dell’8 settembre, festa della Madonna dell’Alto. In questa festività la fiamma vuole evidenziare la morte del vecchio uomo peccatore e la luce di quello nuovo dopo avere conseguito il Santo Battesimo. Per altri, invece, vuole evidenziare la fine dell’anno vecchio e l’inizio dell’anno nuovo che si identifica nella festività calendariale. Anche qui si ripete l’idea dell’inizio di un anno nuovo del culto verso la Madonna dell’Alto .
Altre tradizioni si legano alla festività mariana per eccellenza cioè quella della patrona, Maria Santissima dei Miracoli, festino che viene solennizzato il 19-20-21- di giugno, tempo della mietitura del raccolto del grano da trasformare in pane, alimento naturale per la crescita fisica, ma anche soprannaturale perché indispensabile per la Santa Messa e quindi per la trasformazione in pane eucaristico.
Il simulacro processionale di Maria Santissima dei Miracoli, opera di Lorenzo Lo Curto di Castelvetrano del 1720, quando viene portato in processione viene addobbato a festa con lo stellario d’argento e con la corona e con dietro la nuca il cosiddetto “tuppu di la Maronna”, si tratta di un fermaglio in argento tempestato di pietre preziose sostenente due stolette in seta bianca ricamate in oro e argento e rappresentanti degli elementi floreali. Questa tradizione di mettere dietro la nuca questo fermaglio con le stolette è da legarsi all’arredo della statua della dea Venere ericina che, essendo rappresentata con i capelli lunghi, necessitava di un fermaglio per raccoglierli arricchito da elementi floreali che vengono riportati, non a caso, nelle due stolette.
Uno degli aspetti più sentiti della religiosità alcamese è senza dubbio la lunga processione che attraversa il paese, dove ha le sue radici?
Sin dal periodo medievale, a conclusione delle festività liturgiche si portavano in processione i simulacri dei santi protettori non solo per benedire e protegge l’intera città nei suoi diversi quartieri, ma anche per raggiungere il messaggio devozionale agli anziani e agli ammalati; così come avveniva nell’antica città di Mozia con i Tofé, le piccole edicole dedicate alle dee pagane, succedeva anche durante la processione della Madonna dei Miracoli e del Corpus Domini. Un tempo la processione si fermava di fronte alle edicole sacre presenti lungo il percorso per una benedizione per una sosta speciale. Anche queste antiche usanze, per sincretismo religioso sono entrate nella nostra cultura devozionale della religiosità popolare. Una processione particolare da evidenziare e che risale al 1615, periodo in cui infieriva in Alcamo la peste, è la processione penitenziale della Madonna dei Miracoli che dalla terza domenica di Quaresima viene portata nella chiesa dei Santi Paolo e Bartolomeo, seconda parrocchia in ordine di istituzione dopo la Chiesa Madre, per fare un cammino quaresimale sotto la protezione dell’amabile patrona. Un tempo la quaresima rappresentava un periodo pieno di rigore, di rinunzie e di sacrifici ed è stato proprio questo motivo che ha portato il Vescovo di Mazara, Mons. Marco La Cava, a istituire la settimana penitenziale al fine di offrire a tutta la comunità alcamese la possibilità di rivedere la propria vita in modo da arrivare alla Santa Pasqua rinnovati. Durante la settimana la Madonna dei Miracoli a San Paolo veniva solennizzata ogni giorno da un ceto particolare in modo da coinvolgere tutta la comunità secondo l’appartenenza a un determinato mestiere o attività di lavoro. Ancora oggi la settimana è molto sentita ed è oggetto di culto da parte di tutti gli alcamesi.
Ci parlava delle radici e dei culti eleusini, comuni con le festività di San Giuseppe. Lei ha messo in evidenza un aspetto che ci interessa e ci incuriosisce tantissimo, quello del sincretismo religioso, ovvero di come, con l’avvento di una nuova religione, in questo caso quella cristiana, aspetti di una religiosità anteriore (quella greca) permangano e si integrino in questa. Ha qualche altro esempio da riferirci?
Visto che ci avviciniamo alla festività dedicata a San Giuseppe, tra le principali tradizioni in onore di questo Santo, patrono della Chiesa universale, dispensatore della provvidenza, protettore degli agonizzanti, ci sono le cene o gli “altari di San Giuseppe”, che non sono altro che i culti eleusini che venivano esercitati dai pagani (n.d.r. l’appellativo pagano nasce per riferirsi ai culti non cristiani che trovavano i loro seguaci nei piccoli villaggi, il pagus ovvero piccolo villaggio, dove ancora si rimaneva legati alle vecchie credenze) verso la dea Cerere (Demetra), dea dell’agricoltura. In onore dei questa divinità venivano presentati al tempio le primizie dell’agricoltura realizzate in pani che evidenziavano mazzolini di spighe, grappoli d’uva, baccelli di cereali o legumi, frutti vari e animali domestici da cortile, tutti simboli che ancora oggi vengono confezionati in pani artisticamente lavorati e presenti sulle mense in onore di san Giuseppe e che per un sincretismo religioso il popolo nella devozione popolare ancora oggi rende presenti.