Ci risiamo. Ancora una volta a marciare per tutte le vittime delle mafie, con i loro familiari, a scandire i loro nomi, a ricordare che per tantissimi di loro non c’è verità e giustizia, e spesso non hanno nemmeno ottenuto piena verità e giustizia anche coloro i quali hanno visto celebrare un processo per le violenze subite.
E’ ovvio…nessuno si stanca, l’appuntamento è di quelli veri, vivi, irrinunziabili. Chi non sarà a Latina, sarà nelle piazze delle proprie città a scandire lo stesso lungo, tragico, elenco di nomi. Memoria e impegno intanto per dare, rinnovare, dignità, alle vittime delle mafie ed ai loro familiari. La storia è uguale, da Milano a Trapani, le vittime una volta uccise subiscono ancora violenza, tanto mascariate, sporcate, quanto dimenticate. Da Milano a Trapani accade poi che se i familiari prendono la parola per protestare contro depistaggi, ritardi nelle indagini o nei processi, o per colpire i killer ed i mandanti, che non sono del tutto ignoti, patiscono altre offese.
A Trapani ci furono sindaci che davanti ai morti straziati della strage di Pizzolungo del 2 aprile 1985 dissero che la mafia non esisteva e anni dopo ci furono sindaci che dinanzi alla protesta legittima di Margherita, figlia e sorella delle vittime di quella strage, Barbara Rizzo e i gemellini Salvatore e Giuseppe Asta, si sentì dire che voleva strumentalizzare il proprio dolore. Ai più non stonava che nello stesso giorno della ricorrenza della strage a pochi chilometri dal luogo dove era stata piazzata l’autobomba destinata al giudice Carlo Palermo, e che fece strazio di quella famigliola, si svolgeva il festival del cioccolato.
Memoria e impegno perché nessun delitto delle mafie resti impunito. Memoria e impegno perché ogni giorno ognuno possa conoscere, leggere, apprendere, quello che c’è scritto negli atti giudiziari, per rendersi conto, sempre da Milano a Trapani, che spesso i nomi ricorrenti dei malfattori, dei mafiosi, dei colletti bianchi complici dei boss, sono sempre gli stessi. Memoria e impegno perché vogliamo uno Stato che sia davvero Stato e che butti fuori dalle proprie istituzioni tutti coloro i quali stanno dall’altra parte della barricata, rappresentano l’antistato, servono due e più padroni contemporaneamente, mafia, massoneria, contro lo Stato.
Nei giorni scorsi alla Camera dei Deputati si è discusso della istituzione di una commissione d’inchiesta sul caso Moro. Perché non nominare una commissione ad hoc o affidare alla commissione antimafia nazionale il compito di risolvere quei misteri trapanesi che ancora oggi resistono per una sola ragione, “perché lo Stato non può processare se stesso” oppure, come disse una volta Tina Anselmi, “quando su un evento drammatico lo Stato non riesce a raggiungere la verità, significa che quello stesso Stato nelle sue molteplicità e priorità non vuole raggiungerla”. Ci sono anche altre parole per rendere più chiaro questo quadro. Me le disse un giorno che andai a trovarlo a Trento, assieme a Margherita Asta, l’ex pm, oggi avvocato Carlo Palermo. La mafia, le mafie, lo volevano morto quel 2 aprile 1985, lui sopravvisse ma per lo Stato fu come se fosse morto: dapprima lo indusse a lasciare la toga di magistrato, poi gli propose di cambiare identità e andare lontano dall’Italia, in Canada. Carlo Palermo quando gli chiesi se si fosse fatta una idea del perché di quell’attentato, della speranza che aveva per un processo che colpisse i mandanti e facesse scoprire il movente, mi disse che sino a quando fosse rimasto in vita anche uno solo dei protagonisti di quella strage niente si potrà sapere. Ma questo ovviamente non significa demordere. Si dice che la mafia sommersa ha fatto calare la sordina su tutto. Mi chiedo come dinanzi ai morti non dell’altroieri, ma di ieri, dinanzi ai sequestri e alle confische di imprese mafiose che fino a ieri hanno continuato a operare, si possa parlare di mafia sommersa. La mafia c’è, esiste, si tocca con mano.
E’ la stessa mafia che ha ucciso Ciaccio Montalto nel 1983, compiuto la strage di Pizzolungo nel 1985, ammazzato Mauro Rostagno nel 1988. E’ sempre la stessa mafia che con il tritolo e il piombo ha risposto a chi dava fastidio. E’ la mafia legata ai politici, alle imprese, alle banche. Alì Agca nel suo cammino verso Roma dove doveva uccidere Giovanni Paolo II si fermò a Trapani, si dice che passò per le stanze della loggia massonica Iside 2. In queste stesse stanze venne trovata una foto inedita di Aldo Moro durante la prigionia, poi misteriosamente sparita. Rostagno incrociò i passaggi di Gelli per Trapani e Mazara. Negli anni ’70 due carabinieri di Alcamo Marina furono truicidati e per 30 anni la loro morte è stata attribuita a dei balordi, ma potrebbero essere stati altri uomini in divisa ad ucciderli perché avevano scoperto sulle strade di campagna di Alcamo un via vai di camion carichi di armi. Siamo a metà degli anni ’70 quando in Italia, raccontò il pentito Leonardo Messina, si preparava un colpo di Stato e la mafia stava con la destra. Storie dimenticate. Anche su questo la sordina parte della società civile ha deciso di mettersela da sola. Come hanno fatto alcuni giornalisti che non hanno avuto bisogno del bavaglio imposto per legge per fermare le loro penne.
Oggi il nemico sono la mafia e l’antimafia da palcoscenico. Quell’antimafia che punta a dividere non a unire, che mascaria tanto quando sa farlo la mafia. Quella politica che si dice essere contro la mafia e poi dimentica di sollecitare le amministrazioni locali dormienti a costituirsi nei processi contro i mafiosi di oggi, contro la sorella del boss latitante Matteo Messina Denaro per esempio. Le amministrazioni comunali che sono pronte a protestare contro i giornalisti, pochi, che fanno cronaca e raccontano delle malefatte subite da un territorio, poi dimenticano di costituirsi parte civile contro i veri e unici responsabili dell’inquinamento mafioso. Per essere chiaro, mi riferisco al Comune di Castelvetrano che non è il Comune del boss Messina Denaro, ma è il Comune di tanti castelvetranesi onesti che meriterebbero di vedere la loro amministrazione schierata in aula contro i mafiosi. In questi giorni si sta celebrando l’udienza preliminare dell’ultima operazione antimafia contro il clan Messina Denaro. Già alcuni imputati hanno patteggiato. Si sono costituite alcune associazioni, ma non ci sono gli enti locali, il Comune di Castelvetrano, la Provincia regionale, la Regione Sicilia. Sono costituzioni di parte civile a costo zero se magari qualcuno pensa a risparmi legati alla spending review. La mafia, abbiamo spesso raccontato, si combatte anche con la cultura. E questo perché la mafia non deve riappropriarsi della cultura e passare, come accadeva negli anni ’80, per fenomeno culturale, prima che Falcone e Borsellino riuscivano a dimostrare che la mafia era una organizzazione criminale, assassina, sanguinaria che però sapeva gestire bene imprese ed economia. Ecco allora che oggi, mentre tanti diciamo che la mafia va combattuta con la cultura, i tagli si abbattono sulle biblioteche, sui teatri. E poi guai a parlare di mafia a scuola, gli studenti partecipano ai “progetti per la legalità”.
Allora memoria e impegno, oggi e sempre, per dire ai giovani che la mafia va chiamata col suo nome, un conto è rispettare una legge, una norma, rispetto della legalità, un conto è insegnare ai giovani che nel 2014 la prima cosa che dà forza alle mafie è l’omertà, il silenzio. C’è chi ai giovani ancora oggi tenta di fare imparare che tacere è bene parlare è male. Questi sono cattivi insegnanti. Per non dire altro.