La strage mafiosa di Pizzolungo del 2 aprile 1985 è ancora un capitolo giudiziario aperto. Le sentenze che hanno condannato i mandanti Totò Riina e Vincenzo Virga, il capo della cupola siciliana e il boss capo mafia del mandamento di Trapani, e come esecutori Nino Madonia e Balduccio Di Maggio non hanno fatto luce sul movente. E’ la stessa cosa accaduta per altri delitti e altre stragi. Da quello del pubblico ministero trapanese Gian Giacomo Ciaccio Montalto, sino ad arrivare agli efferati e sanguinosi attentati di Roma, Milano e Firenze del 1993.
A 29 anni da quell’attentato destinato al sostituto procuratore Carlo Palermo e che costò la vita di Barbara Rizzo e dei sui due figlioletti di sei anni, i gemellini Salvatore e Giuseppe Asta, in questi giorni come accade da sette anni, dal 2008, Erice, nel cui territorio la mafia fece scempio di quelle tre vittime, vive giornate di intenso impegno, ma su ogni cosa che si fa e viene detta aleggia l’angoscia per una verità completa che non c’è e che non è solo dei familiari delle vittime, a cominciare da Margherita, figlia e sorella degli uccisi, dilaniati dal tritolo mafioso, ma anche degli agenti della scorta sopravvissuti e che però portano ancora le ferite materiali e morali di quel “botto”, come Nino Ruggirello e Salvatore La Porta (un terzo agente Raffaele Di Mercurio è morto anni addietro di crepacuore, la stessa sorte che ha segnato Nunzio Asta il marito di barbara e il padre dei gemellini) e dello stesso Carlo Palermo che appena pochi giorni addietro abbiamo visto stravolto nel viso, colto dal pianto nel ricordare quei momenti, nell’intervista realizzata da Danilo Procaccianti nel corso della puntata di Presa Diretta diretta da Riccardo Iacona e dedicata alla lunga e perdurante latitanza del capo mafia assassino e sanguinario Matteo Messina Denaro: Carlo Palermo restò vivo ma per lo Stato era come se fosse morto, dapprima lo invitarono a cambiare generalità e a riparare in Canada, poi è stato di fatto abbandonato e costretto ad abbandonare la toga del pm e vestire quella dell’avvocato. In quella trasmissione di Presa Diretta la voce di Margherita Asta è stata chiara: “a 29 anni da quella strage ancora oggi non so perché mia madre ed i miei fratellini sono morti e non sappiamo perché un giudice come Carlo Palermo doveva essere ucciso”. Quel tritolo usato a Pizzolungo fa parte di una lunga lista di sangue, lo stesso tritolo, uscito da polveriere militari, è stato impiegato sicuramente dalla mafia e dai mafiosi nell’attentato nel dicembre 1984 al treno Rapido a San Benedetto Val di Sambro, per far saltare in aria, poche settimane dopo Pizzolungo, alla vigilia delle amministrative del 1985, la villa dell’allora sindaco di Palermo Elda Pucci, nel fallito attentato all’Addaura al giudice Falcone il 21 giugno 1989.Tutte vicende chiuse, apparentemente risolte, ma che risolte non lo sono. C’è stata l’opera di Cosa nostra dietro tutti questi “botti” ma diciamolo chiaramente non ci sarà verità piena fino a quando si dirà l’unica cosa che le sentenze pronunciate per ognuno di questi insanguinati episodi della strategia stragista, permettono di dire e che cioè a compiere gli attentati è stata la mafia. E’ fin troppo chiaro a rileggere verbali e atti giudiziari che non è stata solo Cosa nostra a decidere di colpire. I mafiosi hanno avuto altre complicità, una complicità arrivata da uomini di quelle istituzioni che hanno tradito il giuramento di fedeltà alla Repubblica, preferendo andare a servire altre entità, altre “istituzioni” segrete e criminali. Circostanze che non nasconde Carlo Palermo quando gli si chiede se per lui è possibile riaprire il capitolo di queste indagini: “Sono ancora troppo potenti le persone che volevano la mia morte, sono lì in posizioni di enorme forza”.
Le indagini condotte da Carlo Palermo pur nella brevità della sua permanenza alla Procura di Trapani, appena 40 giorni, l’attentato lo subì a poco più di un mese dal suo insediamento, trasferito su sua richiesta a Trapani da Trento, quelle indagini rilette non sembrano essere così distanti da quelle di oggi, condotte sempre a Trapani da altri magistrati che non a caso in questi ultimi anni hanno subito “pesanti” segnali di intimidazione, giunte nel momento in cui le inchieste hanno conosciuto momenti di grandi passi avanti: mafia, corruzione, controllo degli appalti, riciclaggio e controllo del mondo bancario ed economico, sequestro e confisca di beni. Come dice Carlo Palermo i burattinai, mafiosi e colletti bianchi, sono ancora in auge, gli affari illeciti invece di diminuire sono aumentati, lo dicono le maxi confische decise dal Tribunale in poco tempo, le chiavi di quasi tutte le casseforti sottratte alla mafia erano nelle mani del super latitante Matteo Messina Denaro. C’è poi il clima politico che è quasi uguale a quello degli anni ’80, ieri la mafia non esisteva, oggi il messaggio che vuole essere tranquillizzante ma è solo bugiardo è quello che la mafia è stata sconfitta. Come ha raccontato il pm Andrea Tarondo la mafia riesce ancora a mandare i suoi uomini “fin dentro al Palazzo di Giustizia, per parlare con magistrati e giudici”, mentre la politica “continua a non saper mantenere la distanza di sicurezza dai mafiosi e i politici stringono mani che non dovrebbero stringere”.
Un quadro che può apparire demoralizzante, ma rispetto al 1980 c’è una società civile che reagisce, che protesta, che decide di organizzare la “scorta civica” a favore dei magistrati intimiditi, c’è Libera che in silenzio e senza riflettori e palcoscenici da calcare e con i suoi volontari va nelle scuole, parla con i giovani e con gli adulti: “La mafia però potrà essere battuta – ha detto ancora il pm Tarondo – solo quando tutta la società civile saprà dir di no a Cosa nostra e a tutte le mafie”. Oggi a 29 anni dalla strage di Pizzolungo Margherita Asta ripete la sua richiesta: una commissione d’inchiesta parlamentare che faccia luce su quell’attentato. “E’ un dovere non solo nei confronti di noi familiari, del pm Palermo e degli agenti della scorta, ma anche nei riguardi di un territorio dove la bellezza è stata sporcata dalle mafie e dagli intrecci tra mafia, politica, impresa, massoneria, servizi segreti deviati”. In commissione nazionale antimafia i deputati Mattiello e Fava hanno provato a fare accendere i riflettori su Trapani e sui misteri che resistono. Da Pizzolungo arriva il grido perché davvero questa possa accadere, agevolando il percorso che porti a rendere verità e giustizia e a far cacciare via gli infedeli servitori dello Stato che hanno sulla coscienza la morte di Barbara, Salvatore e Giuseppe. Una commissione d’inchiesta su Pizzolungo non si pensa possa essere ancora un fatto da rinviare!