Messina Denaro e il figlio segreto

MatteoMessinaDenaroTrapani, ha 10 anni ed è un fantasma come il padre: il capo di Cosa Nostra avrebbe chiesto il test del Dna

La grande primula rossa della mafia, Matteo Messina Denaro, avrebbe un figlio segreto. Un figlio misterioso e che in pochi hanno davvero mai visto, proprio come lui, che ha lasciato agli archivi nient’altro che una vecchia foto di vent’anni fa, in giacca blu, camicia bianca e Ray Ban a specchio. Le uniche certezze dell’esistenza di quel bambino, nato tra la fine del 2004 e l’inizio del 2005 in un triangolo compreso tra i Comuni di Partanna, Castelvetrano e Campobello, starebbero nelle intercettazioni rubate ai familiari del boss, che ne parlano più di una volta, facendo capire persino che il padre si sarebbe pure arrabbiato e avrebbe chiesto la prova del Dna.

Il piccolo si chiama Francesco, come il nonno, il vecchio Francesco Messina Denaro, campiere di riverito blasone mafioso, tessitore di trame e di rapporti, adorato da Matteo anche oltre al rispetto dovuto. Non si sa invece chi sia la mamma, ma che cosa c’è di strano, in fondo, visto che il padre stesso è un fantasma così riverito e corteggiato da finire nella esclusiva lista dei più grandi ricercati al mondo, pubblicata da Forbes, addirittura accanto a Osama bin Laden?
Matteo Messina Denaro, ex figlioccio di Totò Riina, non è solo il boss responsabile con altri mafiosi dell’ondata di terrore che sconvolse il Paese tra il ‘92 e il ‘93, seminando vittime e macerie. Da quell’anno, dal 1993, è – soprattutto – un uomo sparito nel nulla, pur vivendo tra lussi e splendori, coperto anche da protettori insospettabili, inseguito oggi da una taglia di un milione e mezzo di euro dei servizi segreti italiani. Ama i Rolex, le donne, i videogiochi, veste abiti firmati che compra anche dieci alla volta, e adora la velocità folle. E’ uomo del terrore, ma anche abile politico. Ama la dolce vita e riesce a vivere come un monaco in isolamento. Lo chiamano «la testa dell’acqua», termine usato in Sicilia per definire le sorgenti, o il primo assoluto, il capo dei capi.
In realtà, è tutto e il contrario di tutto. Suo figlio Francesco è già nato così, misterioso e omerico, come se appartenesse più al destino di suo padre che a lui stesso, un padre divenuto presto, oltre che terribile e crudele boss, custode dei segreti di una terra che è anche culla di logge massoniche deviate e disegni eversivi, di intrecci che affondano nei secoli della storia mafiosa. E questo figlio segreto, metà fantasma e metà erede, tenuto nascosto come un peccato o come un tesoro, ha già di fatto mutato le relazioni e gli affetti all’interno della famiglia. Perché Matteo Messina Denaro ha già una figlia conosciuta, e riconosciuta. Si chiama Lorenza, ha 18 anni, è studentessa all’ultimo anno del liceo scientifico Cipolla di Castelvetrano. Ha una vita quasi normale, come tutte le ragazzine della sua età. Quasi. Di Lorenza si conosce anche la mamma, Francesca Alagna, una delle tante donne del boss, sorella di Michele Alagna, commercialista di fiducia dell’ex patron della Valtur, Carmelo Patti.
Lorenza è cresciuta con la madre. E tutt’e due stavano a casa dei nonni paterni, Francesco Messina Denaro, il vecchio boss morto nel ‘98, e Lorenza Santangelo, che li hanno sempre trattati con cura e affetto. Anzi, la nonna aveva un debole dichiarato per la nipotina, molto educata in casa e assai diligente a scuola. E teneva così tanto a lei da essere intercettata mentre si lamentava con l’altro figlio, Salvatore, per l’indifferenza con cui Matteo è riuscito negli anni a non incontrare mai la figlia. Adesso è successo che la mamma Francesca, assieme alla figlia, ha lasciato la casa e si è trasferita dai suoi genitori. Perché? Semplicemente, sarebbe arrivato il figlio segreto, che ha spostato gli equilibri in famiglia e forse anche qualcos’altro.
La cosa strana è che tutto questo sembra appartenere a quel mondo confuso sospeso tra la cronaca e il romanzo. Il piccolo Francesco è quasi un personaggio irreale, come il padre, che esiste in carne e ossa solo nelle morti che ha lasciato alle spalle, e in quei pochi pizzini che gli inquirenti sono riusciti a recuperare. Nel 2005 scriveva a Provenzano che gli chiedeva che cosa stesse capitando a Marsala: «Ci sono state retate, stanno arrestando anche le sedie. Tocca aspettare il ritorno dei vecchi amici». Cioé, del suo mondo.

Tratto da: La Stampa del 27 aprile 2014

CONDIVIDI
Commenti Facebook
Articolo precedenteLa Figest apre il 2° corso per Tecnici di primo livello
Articolo successivoQuarto congresso territoriale Uil Fpl Trapani
Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.