Historia Alcami: le Fornaci romane e il Monte Bonifato

Intervista all’archeologa Antonella Stellino a cura di Pietro Pignatiello e Lidia Milazzo.archeologia

Qual è la situazione archeologica sul territorio?

La situazione archeologica sul territorio di Alcamo è una vera e propria emergenza. Alcamo è contenitore di una grande ricchezza archeologica che ad oggi non è riuscita ad avere la giusta valorizzazione. Pur essendoci stati nel passato degli interventi sistemici di scavi stratigrafici, di natura scientifica, come nel caso delle Fornaci Romane, in contrada Foggia, da parte dell’Università di Bologna, negli anni 2003-2005, e sul Monte Bonifato, negli anni 2007-2010, da parte dei Gruppi Archeologici Drepanon, nulla più è stato fatto.

Come mai tutte queste difficoltà?

La prima difficoltà, ma anche la più importante, riguarda la mancanza dei fondi, come del resto in tutti gli altri settori. Sicuramente la valorizzazione dei Beni Culturali non è fra le priorità davanti alle tante emergenze a cui il nostro Paese oggi deve far fronte. Pertanto non avendo alle spalle interventi costanti e sensibili, ci troviamo oggi nel pieno degrado. Per questo motivo necessitano nel settore della ricerca scientifica maggiori sforzi e maggiori sinergie per il raggiungimento di scopi comuni, ovvero di risollevare le sorti del Paese anche attraverso la costituzione di parchi archeologici, aree protette di siti minori; andrebbe bene per cominciare anche la nascita di un Antiquarium. Recentemente, è stato costituito un comitato in rete tra diverse associazioni di categoria e l’amministrazione comunale, per discutere e fare luce su come trovare delle soluzioni per il raggiungimento dei suddetti obiettivi.

Quale potrebbe essere una strada da seguire per Alcamo?

È incredibile pensare ad un’Alcamo archeologica senza un suo grande museo. Mi soffermo sollevando una riflessione: come può, una città come Alcamo, titolare di innumerevoli reperti archeologici, oltre che di estrema importanza anche di inestimabile valore, aver disseminato tutti i materiali nei vari paesi delle due Province di Palermo e di Trapani? Infatti, tutti i materiali rinvenuti dagli anni ’70 in poi, tranne una piccolissima rappresentanza, conservata fino a poco tempo fa al Collegio dei Gesuiti, si trovano sparsi tra il Baglio Anselmi di Marsala, il Museo Civico di Partinico, la Pro loco di Balestrate, senza parlare poi del Salinas e Gemellaro di Palermo, e così via … Una delle più grandi battaglie che si potrebbero vincere, in sinergia ed in rete con gli Enti privati e pubblici, nei prossimi anni, potrebbe essere proprio la realizzazione di un museo che accolga tutto il patrimonio alcamese al momento frazionato.

Immagine3(1)C’è un sito di maggior rilevanza nella nostra zona?

Fra le emergenze dell’Alcamo archeologica sicuramente dobbiamo parlare delle Fornaci Romane. Necessita un tempestivo ed immediato intervento da parte dell’autorità competenti mettendo in sinergia le forze e le risorse anche locali. Esse rappresenterebbero da un punto di vista di indotto turistico un volano ed un biglietto d’ingresso alla città di Alcamo, di estrema importanza. L’area in cui si trovano le Fornaci Romane è al confine con il paese limitrofo di Castellammare del Golfo, in prossimità del fiume S. Bartolomeo. Quest’ultimo oltre a rappresentare un confine da un punto di vista turistico, pare risultare una barriera invalicabile per raggiungere la città, perciò la valorizzazione ad area protetta delle Fornaci Romane potrebbe incentivare le visite da parte di tanti turisti incuriositi ed interessati alla conoscenza del patrimonio culturale del nostro territorio.

Può dirci qualcosa di più su queste fornaci?

Il fiume San Bartolomeo ancora nelle cronache del ‘700 veniva indicato come fiume navigabile, ponendosi a contatto con la vicina Segesta. Il delta a forma di cono è il frutto di detriti e costipamenti da parte delle due lingue d’acqua (canale Molinello e San Bartolomeo), dunque risulta essere un’area utile per la Immagine1presenza di un naturale deposito argilloso e di un immediato approvvigionamento idrico, fondamentale per l’impostazione di un’area destinata alla fabbrica per la realizzazione di ceramica, poi destinati alla cottura e per il successivo smercio del laterizio e della ceramica d’uso. L’impianto officinale di C/da Foggia è attestata in un’area di 2500 metri quadrati e la strutturale impostazione organica delle fornaci A e B sono chiuse da muri di contenimento a forma di scacchiera ortogonale. Dalle campagne di scavo condotte dalla Università di Bologna si evince che l’impianto produttivo sembra mantenere una lunga attività di esercizio fra la fine del I sec. a. C. alla metà del V sec. d. C. I manufatti rinvenuti, in oltre, fanno credere che non sono di proprietà di una singola famiglia proprietari di una singola villa rustica. Vista l’ampiezza dell’area di lavoro è ipotizzabile la presenza di fossi per la depurazione dell’argilla con condotti di afflusso e deflusso dell’acqua dai due vicini alvei, con la presenza di botteghe destinate alle diverse linee di produzione, magazzini di stoccaggio e temporaneo deposito. Si ipotizzano addirittura nell’area in questione la presenza di circa 15 fornaci, ma ulteriori indagini di scavo possono dare conferma. Ogni fornace comporta il lavoro di 8 unità, di cui 2 o anche 3 unità per gruppo potrebbero essere capifamiglia, e ciò comporterebbe la presenza in zona di almeno una novantina di nuclei familiari che gravitavano attorno al centro officinale. L’esistenza di un agglomerato abitativo, se pur frazionato, doveva trovarsi nelle immediate vicinanze del centro produttivo, forse in linea d’aria, arretrato lungo la vallata deltizia nei pressi delle linee d’acqua.

A chi apparteneva questo impianto?

Immagine2Come ho già accennato, l’impianto poteva essere di proprietà di una o più famiglie di imprenditori di rango senatoriale o comunque appartenenti a clan gentilizi, il quale decidevano periodicamente di trascorrere dei periodi in Sicilia, per il controllo degli affari e/o delegando conductores di fiducia, per il controllo del loro potere politico centralizzato a Roma. Nella fornace A si è rinvenuto un coppo con il bollo Maesi e il simbolo cruciforme, proprio del V d. C. a monte di Alcamo, nell’area di Sirignano dai resti di una villa rustica venne ritrovata una tegola con bollo Maesi Anae. La gens Maesia è ben documentata nella Sicilia di età imperiale tardo antica, attraverso le numerose iscrizioni provenienti dalle aree di Termini Imerese, Palermo e Marsala. Il ramo siciliano dei Maesii è possibile che provenga da Maesius Picatianus, di origine nord italica, il quale fece il cursus honorum come questore nella provincia africana, prima, legato di Augusto in Numidia, poi. Sono attestati anche i Maesii Titani provenienti dalla Macedonia che curavano i loro interessi commerciali oltre che in Occidente anche in Oriente, fino in Cina.

Parliamo del Monte Bonifato …

Altra emergenza archeologica, come già sappiamo, è il Monte Bonifato, il quale con i suoi 826 m slm domina un ampio territorio, dal Golfo di Castellammare, alla valle del Fiume Freddo, ai Monti di Gibellina. Le più antiche testimonianze archeologiche inquadrerebbero il primo insediamento all’età del ferro tra il IX e l’VIII sec. a.C. La presenza significativa sul Monte è data dal rinvenimento di materiali ceramici a decorazione incisa, impressa e dipinta in stile geometrico, tipo delle culture Sicano-Elime. Inoltre, l’emergenza e l’urgenza di compiere delle azioni d’intervento di recupero, di restauro, di salvaguardia e di valorizzazione delle opere architettoniche di interesse oltre di natura archeologica e architettonica anche storica e culturale risultano necessarie sulla Cisterna Pubblica, cosiddetta La Funtanazza, di epoca medievale…monte bonifato

… un’opera che non sembra tutelata …

Quest’opera monumentale rappresenta un unicum sicuramente nell’Italia Meridionale. Anche Porta della Regina, probabile via d’accesso all’abitato medievale e le cisterne denominate A, B e C, meritano un tempestivo intervento perché soggette ad un’incuria e ad un degrado, allo stato attuale, quasi irreversibile. Esse trovano riscontro nel genere e nella forma in analoghi edifici di molti centri medievali della Sicilia Occidentale, databili al XII e XIII secolo. Inoltre la cosiddetta Torre Saracena, pur mantenendosi integra nelle sue parti, andrebbe almeno all’interno e attorno alle mura della struttura indagata con dovuti scavi archeologici, per una giusta e migliore lettura non solo della struttura fine a stessa, ma per restituire dei dati di valore aggiuntivi, i quali si andrebbero ad incastrare con gli altri elementi architettonici presenti sul Monte. Ma fra tutti gli elementi archeologici presenti sul Bonifato ciò che desta preoccupazione come vera emergenza è la Necropoli Protostorica. Essa si estende lungo i versanti nord – ovest del Monte e in parte ad est. La necropoli è caratterizzata da tombe del tipo a grotticelle artificiali, tipologia diffusa in quasi tutta la Sicilia. Al momento le tombe individuate sono circa cinquanta, tutte violate nell’antichità perché utilizzate come abitazioni rupestri o per ripari occasionali. Le tombe si presentano di norma con una camera ipogeica a pianta circolare o semicircolare e la volta a falsa cupola. L’incuria e l’antropizzazione stanno mettendo a dura prova la necropoli, in quanto negli ultimi anni si sta compromettendo nella sua forma d’origine; di alcune tombe oggi non se ne hanno più tracce.

In alcune delle nostre passate interviste abbiamo cercato di scavare un po’ più a fondo sulle origini più antiche della nostra città. Cosa può dirci in merito?

Con difficoltà oggi si riesce a ricostruire cronologicamente gli insediamenti presenti in tutto il territorio di Alcamo; è in auge la confusione. Siccome noi non siamo mito, ma realtà, è nostro dovere consegnare ai posteri in modo inequivocabile questo patrimonio, fonte di ricchezza per tutti gli alcamesi, ipotizzabile punto di inizio e di forza per sollevare l’economia del territorio.

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