Rostagno 26 anni dopo: a Trapani la mafia resta storia…normale

Mauro RostagnoIl ricordo del giornalista e sociologo ucciso da Cosa nostra il 26 settembre del 1988, e lo sguardo su una città dove i mammasantissima mandano sempre a ringraziare

Sarò impopolare…ma schietto. Ho atteso un poco per scrivere guardandomi intorno. Mi aspettavo qualcosa di più nel giorno del 26° anniversario del delitto di Mauro Rostagno. Pensavo che dopo un processo così lungo e articolato, che ha sviscerato oltre 20 anni di storia sulle malefatte e gli inciuci trapanesi, dopo una sentenza che già nel dispositivo è stata abbastanza chiara e netta, ergastolo per i due imputati mafiosi, atti inviati alla Procura di Palermo per procedere nei confronti di un buon numero di testi per falsa testimonianza – ma si potrebbe leggere anche depistaggio fatto con fiamma e stellette ma anche da chi le stellette non porta – , pensavo che si avesse davvero voglia di far memoria e guardare avanti mandando in soffitta quell’”area grigia” che c’era in quel 1988 e c’è ancora oggi, e invece…Invece niente di tutto questo. Si ci sono stati bei gesti, belle parole…poi ti guardi intorno e ti accorgi che tutte quelle cose brutte che erano oggetto degli editoriali di Mauro Rostagno ci sono ancora.

Per esempio.

Il presidente del Consiglio comunale a Trapani è quel Peppe Bianco che negli anni di Rostagno veniva arrestato per corruzione, e proprio ieri ha presieduto una seduta dove si è parlato di munnizza e piccioli, con un fuggi fuggi generale dall’aula consiliare di una decina di consiglieri che hanno preferito non votare la delibera sulle relative tariffe che i trapanesi dovranno pagare, ad Erice la saga familiare dei Manuguerra  continua, ora c’è pure in carriera la moglie del politico che faceva il mago, Luigi, e che Rostagno prendeva in giro dalla tv, la massoneria impera, in questi giorni sul web è circolata una lista di massoni, ma non sono le liste pubbliche a far preoccupare, ma semmai logge segrete che resistono all’ombra di banche e pare che dalle parti di Paceco un giorno da una perquisizione è saltata fuori una lista di massoni, una sorta di direttorio dove dentro c’era anche quel Vito Marino, figlio di quel Mommo Marino alla cui storia Rostagno dedicò tanto tempo per descrivere la geografia mafiosa del trapanese. E gli esempi continuano con quel che accade al Palazzo di Giustizia dove ci sono magistrati e giudici che subiscono intimidazioni, cimici, porte di stanze che si trovano aperte, computer violati, e ci sono magistrati e giudici che da una parte parlano e celebrano Rostagno e dall’altra parte si schierano contro i colleghi che hanno condotto quel processo…anzi non potendo schierarsi contro le loro stesse toghe preferiscono prendersela con i giornalisti. Come non parlare poi di ciò che sempre in questi giorni è accaduto a Castelvetrano, dove è arrivato il ministro dell’Interno Angelino Alfano, una gran bella passerella, poi una riunione di partito (Ncd) nel chiuso di una stanza in Comune, infine il taglio del nastro di un centro commerciale che riapre dopo la confisca…ah dimenticavo l’annuncio che Matteo Messina Denaro verrà presto preso…Alfano arrivando a Castelvetrano ha abbracciato e sorriso ad un politico, deputato regionale, componente della commissione regionale antimafia del quale la Dia parla in un suo rapporto come un soggetto che fu a disposizione dei Messina Denaro. Ha preferito salutare l’on. Giovanni Lo Sciuto (che ogni qual volta che esce questa storia nega ogni cosa, d’altra parte ha pure ragione perché mai nessuno lo ha indagato) invece che andare a trovare nella sua clinica Elena Ferraro l’imprenditrice che certamente con Messina Denaro non ha fatto alcun affare, che ha detto di “no” al cugino del boss latitante che era andato a proporle, per l’appunto, un buon affare da quale spartire i proventi che sarebbero stati guadagnati in nero, una donna normale che il destino ha reso eccezionale e che però dalle nostre parti passa come “infame” o ancora una che cerca “pubblicità”…ci manca poco, lancio questa scommessa, che qualcuno andrà a dire che lei, la Ferraro, è “una professionista dell’antimafia”. In questo 2014 sui magistrati che lavorano,  e che lavorano bene, piovono le stesse accuse che nel 1988 colpivano altri loro colleghi, nelle forze dell’ordine c’è sempre chi rema in senso inverso, e viene da pensare per certe proposte di sequestro beni che da qualche tempo colpiscono gli imprenditori che hanno collaborato mentre ne restano indenni certi imprenditori che o sono rimasti miracolati e salvati non tanto da processi quanto da cruente vendette mafiose, che frequentavano Angelo Siino, il ministro dei lavori pubblici di Totò Riina. Nomi non se ne possono fare in questo caso, accennare all’hobby di costui si…ogni tanto si interessa di politica, talvolta gli va bene altre volte no. Indenni restano anche quegli imprenditori che hanno subito condanne, sono tornati liberi, uno per tutti il vice capo della mafia trapanese Ciccio Genna abituato, soprattutto nel periodo della villeggiatura ad Erice a ricevere ogni giorno “rispettoso” omaggio – baciamo le mani voscienza – anche sulla pubblica piazza. Nel 1988 c’erano tanti uomini d’onore in libertà, anche oggi: coloro i quali nel 2004 erano in cella e ai quali Matteo Messina Denaro faceva cenno nei pizzini spediti a Bernardo Provenzano (“per adesso non possiamo far nulla, hanno arrestato tutti e tra poco arrestano pure le sedie dove questi erano seduti”) adesso sono tornati liberi, stanno in giro, qualcuno distribuisce cannoli per i bar, e intanto guarda intorno, come fa Franco Orlando da Dattilo (frazione di Paceco) ex consigliere comunale del Psi a Trapani ed ex braccio dell’on. Bartolo Pellegrino (prescritto per corruzione, assolto per concorso esterno), anche questo uno di quelli ai quali Rostagno dedicava così tanta attenzione da essere invitato dallo stesso “ad andare a zappare”, e che resta uno dei commensali ai tavoli della politica trapanese. La politica trapanese resta in mano a personaggi che sono così tanto discussi…da resistere. Deputato regionale è quel Paolo Ruggirello erede di quel Giuseppe Ruggirello, banchiere, che sovvenzionava tanti politici trapanese, qualcuno ancora in carriera. C’è oggi ed era dietro le quinte nel 1988, il senatore Tonino D’Alì, che continua ad avere il “pallino” del porto di Trapani dopo averle sbagliate tutte, avendo a suo tempo salutato positivamente l’avvio di quei lavori finiti in mano ad imprenditori amici come Francesco Morici (destinatario di un maxi sequestro in nome della legge antimafia), lui sostiene per puro caso, la magistratura continua a pensarla diversamente tanto da essersi appellata ad una sentenza di stampo andreottiano (prescrizione e assoluzione): in quella sentenza si legge che quando D’Alì si candidò al Senato nel 1994, per Forza Italia, e fu eletto, era in contatto con i Messina Denaro, e il buon Matteo (ricorda il collaboratore di giustizia Sinacori) in quel 1994 diede l’ordine di votare Forza Italia.

In quel 1988 la mafia non esisteva si sentiva dire in giro, dopo Rostagno, dopo l’uccisione di Mauro Rostagno, l’affermazione è mutata, abbiamo sentito dire che la mafia è stata sconfitta, oggi spesso ascoltiamo chi sostiene che l’antimafia è peggio della mafia. L’ultima trovata, prendendo spunto dal processo per il delitto di Mauro Rostagno, è quella di dire è stata la mafia e non solo la mafia. Come a voler dire povera mafia è stata costretta a compiere per ordine di altri questo delitto. A me la mafia già da sola mi sembra parecchia cosa e il minimizzarla non la discredita ma l’aiuta a crescere.E’ vero…la mafia non uccide più (non ammazza le persone ma distrugge il mercato con le sue aziende) ma mantiene la sua grande abilità a “mascariare”, a togliere , a cercare di togliere, dignità alle persone per bene. Ha i suoi uomini che usano le querele temerarie nei confronti dei giornalisti, usa bene anche i social network dove il discredito e il dileggio è all’ordine del giorno, il tamtam resiste, come seppe fare in quel 1988 Mariano Agate che a domanda sul delitto Rostagno rispose, “storia di corna”, e il tamtam fu così forte da arrivare fin dentro l’aula di Corte di Assise quando a 23 anni dal delitto ebbe inizio il processo nei confronti di Cosa nostra e di due dei suoi uomini più in vista, Vincenzo Virga e Vito Mazzara…due pezzi di storia della mafia trapanese.

La politica non cambia e l’informazione va di male in peggio. C’è chi si indigna dinanzi alle parole di un pm che lamenta l’assenza oggi di quel giornalismo come lo faceva Rostagno. Rostagno lavorava e se ne fregava che non c’era il coro. Ancora oggi accade questo. Solo in pochi, in questa periferia, lavorano  nell’informazione credendo che fare giornalismo significa prendere sempre posizione. C’è chi scrive notizie, notizie che altri non hanno…perché non vogliono scriverle, e c’è chi si impegna a scrivere il contrario. A Trapani ci sono giornalisti che nella buca delle lettere spesso trovano le veline degli avvocati che difendono i mafiosi.

Io non ho conosciuto Mauro Rostagno, ci parlai solo una volta velocemente, l’ho conosciuto leggendo gli atti giudiziaria, parlando con i suoi familiari, con Chicca Roveri, con Maddalena Rostagno, con sua sorella Carla Rostagno, con gli amici, come Giorgio Zacco, soprattutto con Adriano Sofri e sono convinto che anche oggi avrebbe guardato Trapani e avrebbe sorriso in faccia a coloro i quali hanno reso e continuano a rendere la mafia una storia…normale in questa città.

Qualcuno in questi giorni ha parlato, criticamente, di quell’ “appagamento” che certe parti nutrono rispetto alla sentenza di condanna dei mafiosi Virga e Mazzara. Non so se davvero ci sia questo appagamento, certamente c’è qualcuno che non si dà pace per quella sentenza. Io non mi sento appagato. Il fatto che la mafia avrebbe ucciso Rostagno lo si sapeva già con Rostagno vivo (leggete la testimonianza di Caterina Bulgarella, moglie del proprietario di Rtc Puccio Bulgarella, fatta in Corte di Assise), quando fu ammazzato i giovani in piazza gridarono la loro rabbia e indicarono la responsabilità della mafia. La sentenza è stata importante perché ha fatto verità sulle bugie che erano state dette attorno al delitto, leggere le motivazioni sarà importante perché si potrà conoscere la verità giudiziaria, ma non mi sento appagato perché questa sentenza non ha smosso altro, o meglio si continua ad impedire che questa sentenza venga utilizzata per dire che non è normale che a Trapani la mafia continui a comandare.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.