La Procura ha chiesto il giudizio immediato per i reati di concussione e violenza sessuale
Giudizio immediato per l’ex direttore della Caritas di Trapani don Sergio Librizzi, arrestato lo scorso giugno dalla sezione di pg della Forestale di Trapani a conclusione delle indagini coordinate dalla Procura e dirette dai pm Paolo Di Sciuva, Sara Morri e Andrea Tarondo. La prima udienza del processo è stata fissata per il 9 marzo, le accuse restano quelle originariamente contestate al momento del fermo, concussione e violenza sessuale. Resterebbe però aperta una inchiesta stralcio che riguarderebbe vicende giudiziarie legate alla gestione dei centri di accoglienza e i rapporti con i politici. Clamorosamente un aspetto della indagine riguarderebbe la circostanza che soggetti, anche altolocati della politica trapanese, fossero a conoscenza dei metodi poco ortodossi utilizzati dal sacerdote nella sua qualità di componente delle commissioni ministeriali incaricate di vagliare le richieste di asilo politico avanzate da soggetti extracomunitari entrati clandistinamente nel nostro paese. Un atto di accusa che sostanzialmente si basa su risultanze investigative suffragate da intercettazioni. Don Librizzi poi nel corso dei diversi interrogatori avrebbe fatto anche ammissioni relativamente ai suoi comportamenti fuori legge senza però andare oltre, senza toccare altri aspetti che pure investigamente sarebbero emersi. Secondo l’accusa, don Librizzi avrebbe chiesto prestazioni sessuali a migranti maschi che chiedevano lo status di rifugiati politici. Il sacerdote era componente – “molto influente”, hanno sottolineato gli stessi investiogatori e inquirenti, prodittando del fatto di essere componente della commissione territoriale presso la Prefettura, deputata al rilascio dello status. “Costringeva i giovani a prestazioni sessuali – affermò a suo tempo lo stesso procuratore capo Marcello Viola – mediante pressioni, facendo leva sul suo ruolo apicale, sulla sua posizione di dominio”. Le accuse riguardano episodi che vanno dal 2009 ai giorni scorsi. In particolare gli episodi riscontrati sarebbero concentrati negli ultimi sei mesi. Le prestazioni sessuali sarebbero avvenute nell’auto del sacerdote, sulla quale gli investigatori avevano collocato le “cimici”. Il sacerdote è stato dapprima portato in carcere, poi ha avuto concesso anche per lo stato di salute particolamente provato, gli arresti domiciliari. Per un periodo è stato anche ricovertao in un centro attrezzato per l’assistenza psiclogica. Ad inchiodare il direttore della Caritas diocesana di Trapani sono state le “microspie” messe nella sua auto: “Io sono una persona importante, faccio parte della commissione per il rilascio dei permessi di soggiorno, posso farti avere tutto facile o posso rendere tutto più difficile. Ma tu che mi dai?… Ma non capisci che cosa voglio?”. Era il 2009 e don Librizzi si rivolgeva così ad una delle sue presunte vittime dalle quali si faceva solitamente chamare “baba”: in ghanese o anche in indiano significa padre, persona rispettabile, maestro di se stesso in swami. “Pensa a essere amico buono, amico buono, cosi i tuoi i problemi sono i miei. Hai capito… Io come mi chiamo? Simpatico”. E poi, dopo la risposta: “No, mi devi chiamare Baba, è più bello Baba. Dove vuoi andare? Dove ti piace… A casa tua”. Deus ex machina, così si sarebbe presentato alle sue “vittime” il parroco: ”Ascolta… ieri ho detto al presidente prendi le carte di E. e decidiamo. E abbiamo deciso, hai capito… Quindi ora tra qualche giorno, la questura ti deve fare il permesso di soggiorno, hai capito? Il problema è che le tue carte erano ferme, perché c’era la Svizzera, hai capito? l problemi che c’erano in Svizzera. Quindi io ho detto al presidente, togli i problemi della Svizzera e diamo subito positivo, hai capito?”. L’interesse sarebbe stato garantito per tutti, anche per gli “scafisti”. Interlocutore: Però non è un problema di spaccio o rapina…
Don Sergio: Lo so, lo so, lo so, peggio, è peggio, è più grave, scafista è più grave dello spaccio.
Gli immigrati, stando alle intercettazioni, avrebbero accettato le sue condizioni ma erano anche pronti a farsi valere: “Non è detto che ogni volta che ho bisogno lei si deve divertire… Cosa? Che gli chiedo qualcosa. si deve divertire”. E più avanti il prete in modo rassicurante: “L’amore è medicina”. E in un’altra occasione con un altro uomo andato ad incontrare il prete dolorante perché qualche giorno prima aveva subito una aggressione: “Mi sono saliti sopra – racconta – io forza non ne ho neanche so se sono vivo o morto”. E don Sergio: “L’affetto è medicina… curati che ti do l’affetto e ti passa”. Oppure, un’altra volta: Don Sergio: …Questo è amore… l’amore è una cosa buona… hai amore? Interlocutore: Da quando ti ho incontrato…Don Sergio: Dimmi. Di cosa hai bisogno? Interlocutore: La commissione. Persona importante: don Sergio Librizzi era visto così un po’ da tutti quelli che si occupavano di immigrazione e gestione degli immigrati, dai centri di accoglienza alle cooperative apposta costituite per le case famiglia e il lavoro. Persona importante: un tunisino, secondo l’accusa dopo essersi visto toccato, si rivolse all’interprete chiedendo chi fosse il tizio: “È un sacerdote, un prete cattolico”, fu la risposta. L’immigrato replicava: “Ma è un prete come il Papa?”. La replica: “Non è come il Papa ma ha una importanza minore”. Ma c’è di più: secondo il gip Cersosimo il sacerdote avrebbe avuto coperture importanti, vicende sulle quali sarebbe incentrata l’indagine stralcio rimasta aperta in Procura: “Dalle indagini – scrive – è emerso come fatto inconfutabile e notorio come il Librizzi sia detentore di una posizione di grande potere e che lo stesso sia strettamente legato ai soggetti più potenti di Trapani nonché gestore di fatto dei centri di accoglienza e del sistema di cooperative connesso. Librizzi risulta essere unico ed incontrastato dominus di una complessa e articolata rete di cooperative, ipab e società attraverso le quali gestisce in regime monopolistico non solo i centri di accoglienza per extracomunitari ma anche l’intero universo del lavoro ad esso collegato generando e gestendo risorse e lavoro. Librizzi è stato ritenuto al vertice di una ricca fiorente e incontrastata holding finanziata con denaro pubblico che gestisce per intero il business dell’assistenza ai migranti. È risultato che si è mosso sempre con determinazione per ostacolare e danneggiare i pochi coraggiosi che hanno avuto la forza di tentare di opporsi alle sue reiterate malefatte con intimidazioni minacce vere e proprie aggressioni condotte talvolta poste in essere da appartenenti alle forze dell’ordine i quali hanno invitato i soggetti che si erano rivolti loro a non sporgere denuncia e di mettere tutto a tacere con il chiaro effetto di creare intorno al Librizzi l’aura di soggetto intoccabile e impunibile”. E nell’ordinanza finì anche il racconto di un teste, dipendente in uno dei centri di accoglienza nei quali don Librizzi si sarebbe mosso con “autorità”, che ha detto come la notizia delle periodiche ispezioni arrivava per tempo. Sarebbe stato ogni volta don Librizzi a preannunciare le ispezioni: “E quindi si metteva ogni cosa a posto”. Frasi legate a episodi che alcuni testimoni hanno denunciato ai magistrati: una ragazza che si occupa di immigrati un giorno si ritrovò davanti alla porta di casa una busta con un proiettile. Un episodio che i magistrati collegano a un fatto accaduto qualche giorno prima: la ragazza, secondo la tesi dei pm, si sarebbe data da fare per aiutare un immigrato stanco delle pressioni del prete. Un’altra ancora ha denunciato di aver ricevuto minacce mentre si apprestava a denunciare un caso di presunta malasanità. Un’altra testimone ha invece raccontato ai pm una minaccia che avrebbe ricevuto dopo aver cercato di aiutare una presunta violenza sessuale. A compierla, secondo il racconto dell’immigrato riferito dalla testimone, sarebbe stato il sacerdote, al quale l’immigrato avrebbe detto di essersi rivolto per avere una coperta: “Una sera avevo appena lasciato a casa un collega e mentre ero ancora in auto, ferma, ero chinata a prendere il cellulare dalla borsa, sentii riaprirsi lo sportello posteriore e una persona salire, pensavo fosse ancora il mio collega, ma appena mi sono mossa per girarmi questi mi dissi di stare ferma di non girarmi… non era il mio collega ma uno sconosciuto (non era un italiano ma parlava la lingua in modo corretto) che mi apostrofò dicendomi tu lo sai perché sono qui perché tu stai disturbando… non devi rompere le palle adesso te ne vai a casa la devi smettere di fare tutto questo casino, tu lo puoi fare il tuo lavoro ma senza rompere le pa… perché adesso io sono qui che ti sto parlando la prossima volta non sarà così perché si rischiano anche altre cose”. L’uomo non indicò alla donna i fatti per i quali lei stava subendo quelle minacce, “ma in quel periodo – ha spiegato la teste ai pm – sono certa che davo molto fastidio a don Sergio e lui diceva a tutti che io lo disturbavo”. Secondo l’accusa, gli assistenti e i mediatori culturali avrebbero lavorato solo se graditi al prete. Uno di quelli non graditi ha raccontato la sua storia ai magistrati: “Lui mi aveva insomma bandita dai centri gestiti, lì mi era impedito di entrare, anche se solo per parlare con i ragazzi lì ospitati… Mi ricordo che mi era impedito di entrare anche al centro di Salina Grande, dove riuscivo a entrare solo quando era di servizio un poliziotto mio amico. Anche quando cominciai a lavorare per Connecting People, nonostante fosse un mio diritto accedere al centro di Salina Grande, ho avuto problemi per l’ottenimento del permesso da parte della Prefettura di Trapani, nonostante Connecting People, ne avesse fatto regolare richiesta, da una mia telefonata alla dottoressa De Lisi (il vice prefetto, ndr) seppi che forse si era perduta la mia pratica, la stessa fu ritrovata dopo la mia telefonata, così dopo due giorni ottenni il permesso, dopo che era trascorso più di un mese dalla richiesta”.